Dilemmi morali del cybergiustiziere

Ve lo ricordate il film: Il giustiziere della notte?
E’ la storia di un architetto la cui famiglia subisce una terribile aggressione. Disperato e scettico nelle capacità della legge di catturare i criminali, si procura una 44 magnum e va in giro per i meandri di New York a farsi giustizia con le proprie mani.

Bene. Sostituite le parole “famiglia” con “patria”, “44 magnum” con “computer”, “New York” con “internet”, e avete un primo profilo di Aaron Weisburd.
Aaron Weisburd è un 41enne programmatore di computer di Carbondale (Illinois), ideatore e mente operativa del progetto Internet Haganah.
Profondamente colpito dall’attacco alle Torri Gemelle del settembre del 2001, ha deciso di dedicare il resto della sua vita a combattere la Jihad globale nel modo che gli si confaceva di più: girando per le maglie della rete, cercando, studiando, catalogando e – in alcuni casi – distruggendo siti internet jihadisti.

Il nome del progetto è tutto un programma.
Infatti Haganah, “difesa” in ebraico, designa i gruppi armati paramilitari attivi tra il 1920 e il 1948 in Palestina, nati durante il governo Britannico. Nell’idea di Weisburd, Internet Haganah non ha solo lo scopo di mappare quel multiforme fenomeno del jihadismo online, ma anche di reagire con un attacco di tipo DoS (Denial of Service) ai server che ospitano siti estremisti.

C’è chi dice che non sia lo staff di Weisburd ad operare gli attacchi, ma che su segnalazione di questi, l’FBI operi con le proprie cybersquad l’oscuramento dei siti. Anche se spesso i siti oscurati si caratterizzano dall’immagine di un AK47 su fondo blu, il che fa sorgere dei dubbi sulla paternita governità dell’operazione.

La metodologia di Weisburd è molto interessante.
Si sveglia alle 5 del mattino e comincia a cercare siti arabi inneggianti alla guerra santa contro gli USA e gli ebrei. Una volta trovato un sito sospetto, forte della conoscenza dei meccanismi psicologici della lotta politica (ha un passato da attivista) e della consulenza di alcuni membri del suo staff che conoscono l’arabo, comincia a studiare il sito, a classificarlo – la jihad può assumere diverse sfumature – schedarlo e inserirlo nel proprio enorme database che viene aggiornato ogni tre giorni circa. Altri dettagli si possono trovare in questo articolo dello stesso Weisburd.

Ovviamente l’impegno è a tempo pieno, e Weisburd ormai lo considera un lavoro a tutti gli effetti. Infatti una delle ricadute del progetto è l’enorme competenza che ha accumulato sul tema della e-jihad, cosi da renderlo un consulente pagato da diverse agenzie governative USA occupate nella guerra al terrorismo.

Di primo acchito sembrerebbe un’operazione meritoria, ma a ben vedere, la questione solleva dei dilemmi non da poco.

In primo luogo l’aspetto che ha di “giustizia fai da te”. Per quanto lenta e problematica, è sempre meglio usare gli strumenti della legge e della democrazia liberale, altrimenti si corre il rischio di ridursi sullo piano del terrorismo. Beninteso: non che non vada combattuto, anzi, qualsiasi estremismo antidemocratico andrebbe sradicato, solo che bisogna interrogarsi sulla legittimità di alcuni strumenti (Guantanamo e Abu Graib sono lì a testimoniarlo).

In secondo luogo il lavoro di Weisburd intralcia il lavoro di altri analisti che invece tendono a monitorare in maniera “invisibile” l’operato dei siti jihadisti così da rilevare attività che potrebbero tornare utili alle operazioni di intelligence classiche. Come faceva Scotland Yard durante la guerra contro l’IRA, per cui teneva sotto controllo pesci piccoli, per intervenire sull’organizzazione degli attentati. A questa obiezione risponde Weisburd, dicendo che l’attività dell’analisi di informazioni internet non ha impedito – ad esempio – gli attentati di Londra.

In terza battuta, la classica questione del quis custodiet custodes?. Condividiamo i principi alla base del comportamento di Weisburd, ma come reagiremmo se esistesse un progetto simile il cui scopo è quello di oscurare i siti abortisti, oppure i siti che palano i procreazione assistita, oppure i siti che divulgano i risultati della sperimentazione sulle cellule staminali?
Insomma: fino a che punto – in nome della nostra sicurezza – abbiamo voglia di cedere sulla nostra libertà di espressione?
Per farsi un’idea di quanto il popolo della rete consideri Weisburd un personaggio ambiguo, andatevi a leggere questa curiosa “traduzione” di un articolo del Washington Post su Internet Haganah, fatto da Indymedia Utah.

Una riflessione da sociologo della tecnologia. Il modo di lavorare di Weisburd, mi ricorda molto da vicino la tecniche dell’etnografia online, ovvero le tecniche di ricerca tipiche dell’antropologia, applicato a uno spazio sociale come la rete.

Infine, un’ultima riflessione sul sito di Aaron Weisburd.
Il suo avere brevi riquadri di testo scritto in ordine cronologico e l’essere dotato di un canale FeedRSS, rivela una cosa molto curiosa.
Internet Haganah è un blog.

[fonti: Bongiorni, 2005, La guerra di Aaron contro i siti jihadisti, Il Sole 24 Ore, 14 agosto, p. 9; Weisburd, 2005, Fighting the online intifada, Israelinsider, 28 settembre; Stone, 2005, Heroes or Nettlesome Hacks?, Newsweek, 13 luglio]

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