Dipendenza da web 2.0?


Nell’anno aperto dalla rivelazione del Time per cui è il popolo della rete ad essere “Uomo dell’anno” del 2006, ritorna la questione se internet causi dipendenza o meno: come affrontare la questione?

Il primo spunto arriva da un articolo del New Scientist (Just can get e-nough di Richard Fisher), in cui si sostiene che il web 2.0 abbia portato con se una nuova tipologia di dipendenze che hanno come conseguenza quello di creare un nuovo tipo di soggetto sociale: nevrotico, insicuro, sempre alla ricerca di conferme della propria popolarità digitale, per cui “essere” è fondamentalmente “esistere in rete”.
L’autore ha anche elencato una serie di tecno-dipendenze così caratterizzate:
Blog Streaking: rivelare segreti e informazioni personali che sarebbe meglio tenere riservate via blog;
Crackberry: la ricerca spasmodica di email sul proprio Blackberry, anche in situazioni non pertinenti (come ad un funerale);
Cyberchondria: l’ipocondria alimentata dalla ricerca di informazioni mediche su internet;
Egosurfing: la ricerca infinita di informazioni su se stessi in rete per saggiare la propria popolarità digitale;
Infornography: l’essere “drogato” dalla voglia di ottenere e condividere informazioni online;
YouTube Narcisism: la volgia e il desiderio di mettersi in mostra tramite YouTube
Google Stalking: la caccia alle informazioni relative a d amici e conoscenti che non si vedono più da tempo (vecchi compagni di scuola, per esempio);
MySpace Impersonation: “lei non sa chi sonon io” in versione social network;
Powerpointlessness: non riuscire a dire le proprie idee o a non capire quelle altrui se non tramite PowerPoint
Photolurking: guardare le foto dell’album online di persone che non si conoscono affatto, una psecie di foto-pettegolezzo;
Wikipediholism: la devozione eccessiva all’idea (ideologia?) sottesa a progetti collaborativi (tra l’altro esiste un test divertente su questa cosa proprio su wikipedia).

Il secondo spunto arriva da un articolo su Il Sole 24 Ore-Nova di oggi, a firma di Luca Salvioli (Quando la dipendenza diventa tecno), che riporta i risultati di una ricerca svolta dai dipartimenti di Neuroscienze cliniche e di Psicologia dell’Università di Palermo effettuata su un campione di 1.334 adolescenti tra i 13 e i 19 anni che rivela che 412 soggetti mostrano comportamenti problematici con i media digitali etichettati “sindrome di Hickicomor” (in realtà si chiama Hikikomori sindrome).

Il profilo del ragazzo che si rifugia patologicamente nella rete è quello di un soggetto fragile, con segni di una depressione che non riesce a contrastare forse proprio a causa dell’incpacità di regolare le propie emozioni. Lo stesso vale per la dipendenza d telefonino: giovani che non riescono a staccarsi dal cellulare per chiamate o messaggini, finiscono per sviluppare una dipendenza forte e patologica associata a disturbi emozionali.

Queste le parole di Daniele La Barbera, direttore della clinica psichiatrica di Palermo e responsabile dello studio.

Allora come la mettiamo? Noi blogger-flicker-MySpacer-YouTuber-utenti web 2.0 siamo una manica di drogati oppure no?
Fermo restando che non conosco i protocolli di questi studi, così “a caldo” mi vengono in mente un paio di obiezioni.

1. Etichettamento di una pratica
Una teoria sociologica dice che noi consideriamo gli altri come devianti (cattivi, nemici, pericolosi, malati ecc.) quando li etichettiamo come tali, e una pratica viene considerata deviante quando c’è un sistema (medico, giudiziario, politico) che la considera come tale.
La domanda a questo punto è: chi decide che una pratica sia deviante? Il potere.
Attenzione: non sto dicendo che c’è un complotto pluto-demo-vattelapesca che controlla i nostri destini, sto solo dicendo che dire che una persona è malata/deviante dipende non tanto da regole scientifiche (come misurare il grado di assuefazione) quanto da regole sociali.
Esempio sociale: come si fa a distinguere un hacker da un esperto di sicurezza informatica quando le cose che fanno per testare la robustezza dei sistemi è sostsanzialmente identica? Il fatto che l’esperto di sicurezza informatica lo può fare, è legittimato a farlo. Un hacker no (per questo molti hacker sognano di diventare – o diventano – esperti di sicurezza informatica).
Esempio cinematografico: avente presente X-Men 3? Chi decide che la mutazione sia una malattia da curare? Chi la mutazione non c’è l’ha, però detiene il potere per etichettarla come “malattia”.
Esempio “storico”: fino a non molto tempo fa gli omosessuali venivano considerati come dei malati da curare. Quanti di noi oggi sosterrebbero una cosa simile? Pochi credo (e spero). Bene: cos’è cambiato dall’essere culattone/ricchione negli anni ’50 e gay negli anni ’90? La percezione sociale delle abitudini sessuali.

2. Dipendenti da cosa?
Le argomentazioni – giornalistiche, ma non solo – sull’etichettamento della dipendenza tecnologica spesso confondono la forma con il contenuto. Una persona che usa intensamente sms, email, blog, chat, non è dipendente da queste tecnologie, ma è dipendente da cosa queste tecnologie gli permettono di fare: stare insieme con le persone, condividere un’esperienza con qualcuno, interagire con un essere umano.
Quindi sono dipendenti NON dalla tecnologia, ma dalla relazione sociale che la tecnologia permette loro di instaurare. Portando l’argomentazione all’estremo, le persone sono dipendenti dai rapporti umani. Che non mi sembra un fatto negativo in sè.
Anche perchè se lo fosse, dovremmo guardare con sospetto a chi va al cinema al mercoledì con un gruppo di amici o chi va in balera a ballare il liscio tutti i sabati, perchè dovremmo considerarli (o meglio etichettarli) come cinema-dipendenti o liscio-dipendenti (o salsero-dipendenti, tanghero-dipendenti, o quello_che_vi_pare-dipendenti)

3. Perchè proprio internet?
Perchè dobbiamo essere per forza internet dipendenti?
Mi spiego: chi legge libri (pardon, romanzi) in ogni momento libero della giornata è un colto, un intellettuale: in pratica un figo.
Perchè chi usa internet sistematicamente deve essere uno sfigato? Cos’ha il libro che internet non ha?
Risposta: la lettura è una pratica culturale intellettualmente legittima, la navigazione internet no (o meglio non ancora).
Chi definisce cosa sia culturalmente legittimo e cosa no? Boh, o meglio, si: l’opinione pubblica, la rappresentazione sociale, il mcomune senso del pudore, quello che è (cioè niente).
Se per caso vi dovesse saltare in testa una risposta del tipo: “la lettura non ha mai fatto male a nessuno”, vi inviterei a stare attenti.
Esempio letterario: storicamente il primo personaggio ad essere dipendente da un prodotto culturale è Don Chisciotte: a furia di leggere di dame, di cavalier, d’arme e di amori, si bevve il cervello fino a considerare dei mulini a vento come dei mostri immondi (nonostante il profondo buonsenso del fido Sancho Panza).
Esempio storico: sosterreste la stessa cosa per difendere un libro come Mein Kampf? Se la risposta è “No”, non vi arrabbiate se la prossima volta che ascoltate la musica di Marilyn Manson vedrete qualcuno chiamare la polizia e vi accusi di sospetto satanismo o per tentativo di organizzazione di un massacro di massa in un liceo.

4. Bibliografia a sostegno di una maggiore problematicità del concetto
Una vagonata: da Michel Foucault per il concetto di devianza a Margaret Shotton per quello di computer-dipendenza, ma preferisco evitare di massacrarvi le scatole alla fine di un post chilometrico 🙂

Concludo dicendo che ovviamente non sto sostenendo che non esistano in assoluto internet dipendenze messe in atto da persone psicologicamente fragili o socialmente predisposte. La dipendenza da contenuti pornografici violenti esiste da quando esiste l’industria del porno, ma da qui a dire che tutti i pornofili siano drogati ce ne passa (secondo me).

Dire che chi usa troppo internet è un internet-dipendente vuol dire chiedersi:
A. cosa vuol dire “usare troppo” ?
B. cosa vuol dire “dipendenza” ?
C. chi è legittimato a definire “troppo” e a definire “dipendenza”?

Voi che ne pensate?

22 thoughts on “Dipendenza da web 2.0?

  1. Ciao Fabio, grazie dell’apprezzamento e della segnalazione sia del tuo post che dell’articolo di Yee.

    Sono sicuro di aver scritto cose eclatanti come la scoperta dell’acqua calda, ma sentivo la necessità di uno sfogo impostato in modo “critico”.

    Ciao

    DvD

  2. Mi ha colpito il punto 3 del tuo post.
    Mi sono avvicinata al mondo di internet quando ho iniziato a pensare alla mia tesi di laurea, e da allora ne sono rimasta affascinata. Probabilmente non sono l’unica ad aver sfruttato internet per le mie ricerche, così come oggi lo uso per tenermi aggiornata su quello che accade nel mondo e per molto altro ancora.
    Se non c’è nulla di male nel “divorare” libri” perchè dovrebbe esserci nell’uso sistematico di internet? cosa c’è di male nell’essere alla continua ricerca di informazioni, nel soddisfare le proprie curiosita divertendosi?
    E allora ad ognuno la sua dipendenza.

  3. Sono d’accordo con la tua critica Davide. Quando sento parlare di dipendenza da Internet sorrido e giro pagina o cambio canale.

    Su questa strada esiste una dipendenza per qualsiasi cosa e potenzialmente qualsiasi comportamento.

    Parlando della mia esperienza personale, a prima vista dovrei essere etichettato come dipendente, visto che sono sempre online, a casa e in ufficio. Chi lo pensa però dovrebbe rispondere a perché, quando sono in vacanza per 10 giorni o in viaggio per un week end non sento la necessità di collegarmi e non ho nessuna crisi d’astinenza.

    Se non c’è crisi d’astinenza è lo stesso una dipendenza? 🙂

  4. Io ho sempre pensato che la dipendenza consistesse nell’essere obbligati a fare qualcosa anche contro la propria volontà. Un po’ come chi va a lavorare tutti i giorni e qualche volta magari non ne avrebbe voglia. Forse gli articoli si riferivano a chi lavora per i blog altrui… 😉

  5. Ho la sensazione che si stia approcciando l’argomento in modo semplicistico.

    Non credo che la internet-dipendenza sia da misurarsi semplicemente con il numero di ore passate a navigare. Ergo, chi passa molto tempo su internet non si deve sentire accusato di questa dipendenza.

    Credo che il problema stia nell’approccio emotivo che si ha nel confrontarsi con mondo della rete. Sano nella maggior parte dei casi; problematico in una piccola fetta.

  6. Cito dal post, effettivamente chilometrico ma bello: “dire che una persona è malata/deviante dipende non tanto da regole scientifiche (come misurare il grado di assuefazione) quanto da regole sociali”.

    sono perfettamente d’accordo, e proprio di recente mi è capitato di rileggere l’interessante saggio sull’etichettamento in psicoterapia (nel caso specifico, si tratta di schizofrenia) contenuto nel volume “La realtà inventata” a cura di Watzlawick.

    anche in questo caso, ciò che si cerca di fare è costruire una realtà per poi poterla attaccare in vario modo.

    inutile dire che sulla legittimazione culturale del libro rispetto ai media digitali c’è ancora tanto da fare. il romanticismo tecnologico è duro a morire… (anzi, sapete che faccio? ora stacco dal pc e vado all’aria aperta a scattare qualche foto, ma con la mia vecchia macchina analogica, perchè queste digitali non saranno mai e poi mai all’altezza… [img]http://lnx.tecnoetica.it/wp-images/smilies/icon_smile.gif[/img] )

  7. Complimenti per il punto di vista pacato e la ricerca dell’obiettività, e soprattutto per il linguaggio. Il mondo generale della parola – e magari anche quello uèb – ha bisogno di gente che sappia scrivere così.

    Beck’s

  8. Ottimi spunti, Mi fa piacere aver visitato il tuo blog, in quanto l’argomento dell’etica mi stimola molto. Ti aggiungo al mio blogroll, se ti fa piacere.
    Ciao

  9. Sorprendente! Credevo di aver scritto un post cervellotico, ma evidentemente così non era.

    Per Spylong
    Concordo: l’informazione può generare dipendenza solo se si ha una mente. Per essere dipendenti da altra roba basta avere un cervello 😉

    Per Luca
    Sono contento della tua mancanza di crisi d’astinenza, ma io invece la sento eccome.
    Per questo credo che inevitabilmente ci vedremo al Barcamp 😀

    Per Roby
    Si, dipendenza può essere anche andare contro la propria volontà. Tanto il mondo e la volontà non sempre vanno d’accordo (ho avuto un attacco di Schopenauer-ite)

    Per Fluxian
    Appunto. Usare le ore passate su internet come variabile indipendente (ovvero esplicativa) per misurare qualcosa è una forzatura e secondo me è anche in malafede chi la usa.

    Per Franc3s
    Grazie del passaggio 🙂 Vieni pure a “trovarmi” quando ti pare e non dimenticare di lasciarmi le tue opinioni 🙂

    Per Mario
    Solo io e te sappiamo quanto questi temi (media e legittimazione) ci vedano coinvolti 🙂 PS: complimenti per il blog, non sapevo che l’avessi…

    Per Becks
    Lusingato per le tue parole, anzi grazie. Proprio quel giorno uno dei miei capi accademici mi ha accusato di scrivere in modo incomprensibile. Effettivamente sul blog sono più libero di scrivere come mi pare e forse più leggero della mia roba “universitaria”, ma quel giorno mi era presa male. A buon rendere.

    Per Gigi
    Onorato per il blogrolling. Ovviamente ricambio il piacere della (web)conoscenza 🙂

  10. con il passare del tempo la tecnologia,sempre puù avanzata,è diventata una vera e propria ossessione!!!
    personalmente penso che,invece di proseguire sempre puù,bisognerebbe tornare un pò indietro…x me la TV potrebbe anche nn esistere,x quanto riguarda il cellulare no però!!!;-))! ciao ciao LILLA sempre e solo 10!!

  11. La verità è che internet ogni giorno che passa va creando sempre nuove forme di dipendenza, da quella da blog a quella da gioco d’azzardo online. Proprio di quest’ultima dipendenza io sono stato succube, per fortuna ne sono uscito ed ho voluto creare http://www.nodipendenza.com per fare un pò di prevenzione. Credo che l’unico modo per cercare di “arginare” la dipendenza da internet (e le sue varie forme) sia fare un pò di prevenzione, magari chiarendo bene quali e quanto deleterie possono essere le conseguenze di una dipendenza…

  12. Quella del gioco d’azzardo è una dipendenza in senso stretto, a cui internet può dare maggiore visibilità e facilitare l’accesso, ma secondo me ciò non vuol dire che sia una internet-dipendenza. Infatti non è un caso che tu abbia fatto un sito internet per fare prevenzione sfruttando le stesse armi – i siti – con cui i casino online fanno proseliti.
    Le dipendenze esistono con internet o senza: attribuire un ruolo alla rete mi ricorda lo stesso modo di ragionare di quel sedicente filosofo che malediva le auto perché hanno inventato gli incidenti stradali.

  13. per parlare così, forse siete già fin troppo dentro al problema, del tipo..no, non è vero, non mi drogo (…) e comunque smetto quando voglio…
    O peggio, negate di esserci…

    La dipendenza da internet non è dipendenza dalla relazione che lo strumento crea, ma al contrario assenza di relazione.
    E’ qualcosa che si instaura fin troppo dentro da non riuscire a riconoscerla così coscientemente. Solo alla fine ci si rende conto di essere “presi nella rete” (leggetevi K.Young a questo proposito), a meno che non siano gli altri a gettare un po’ di luce sul problema che la persona presenta…

    La vostra incredulità a tale fenomeno è normale, sembra così strano dipendere da qualcosa che non sia una sostanza..ma per questo si chiamano new addictions…in linea coi tempi…
    Ma, non nascondete la testa sotto la sabbia…non girate canale quando si parla di queste cose. E’ un fenomeno ancora un po’ troppo sottovalutato!

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