Cosa succederebbe se trovassimo davvero gli
alieni? quali sarebbero le conseguenze scientifiche, filosofiche e sociali?
In questi giorni si sta svolgendo a Napoli la
tradizionale manifestazione Futuro Remoto che ha luogo negli spazi (è proprio il caso di
dire) della Città
della Scienza, importante Science Centre che si trova nel quartiere di
Bagnoli, proprio di fronte a Nisida (zona familiare ai fan di Edoardo
Bennato).
“Noi Marziani” è il titolo
dell’attuale edizione di Futuro Remoto. La mostra racconta le principali tappe
dell’esplorazione del sistema solare e di Marte in particolare, pianeta che fin
dalla scoperta dei suoi canali da parte dell’astronomo italiano Virgilio
Schiaparelli, ha avuto la capacità di colpire l’immaginazione degli uomini.
Oltre ad un percorso tematico relativo
all’esplorazione dello spazio – con tanto di modello in grandezza reale della
sonda Spirit che da poco ha solcato il suolo di
Marte (modello unico in Europa)
– Futuro Remoto organizza una serie di incontri a tema con diversi
esponenti del mondo scientifico, ma non solo.
Uno di questi incontri (svoltosi giovedì 11 novembre scorso) portava come titolo “E
se davvero trovassimo gli alieni?” in cui il giornalista Giovanni
Caprara, responsabile della redazione scientifica del Corriere della
Sera, ha
moderato una conversazione tra padre George Coyne (direttore della Specola
Vaticana, ovvero l’Osservatorio Astronomico del Vaticano), Massimo
Capaccioli (direttore dell’Osservatorio
Astronomico di Capodimonte) e Davide Bennato (cioè il sottoscritto).
In sala un agguerrito numero di studenti delle scuole medie e medie superiori.
Giovanni Caprara ha dato il via al dibattito sottolineando
come parlare degli alieni voglia dire essenzialmente inoculare nell’uomo una
bella dose di umiltà, in quanto il discorso della vita sulla terra rispetto
all’universo porta a ridimensionare enormemente il nostro atteggiamento nei
confronti della grandezza e della insondabilità del cosmo. D’altra parte l’uomo
vive sulla terra , ma la terra altro non è che un pianeta che assieme ad altri
fluttua intorno al Sole, quindi la vera casa dell’umanità è lo spazio.
Parlare di temi come vita, spazio, universo richiede non solo una forte
componente di umiltà ma soprattutto una potentissima apertura mentale.
Massimo Capaccioli
(astrofisico) ha aperto la
discussione facendo notare quanto la questione degli alieni sia una questione
mal posta, e si è assunto il compito di smorzare gli entusiasmi sul tema adattando al suo discorso l’argomento alla base del principio
antropico: la vita intelligente sulla terra altro non è che una conseguenza
delle leggi della fisica che governano il cosmo.
Secondo questa impostazione, alla domanda se esistano forme di vita intelligente
nel cosmo, la risposta da dare è: “si, sulla terra”. Tra l’altro due
elementi delle domanda sono concetti altamente controversi: il concetto di di
“vita” e il concetto di “intelligente”. Le
condizioni che hanno portato alla vita sulla terra cioè che un opportuno
cocktail di carbonio, acqua, energia abbia permesso che si formasse la vita
sulla terra, è talmente improbabile da ritenere altrettanto improbabile che
esistano alte forme di vita simili alla nostra nell’universo.
L’argomento che sostiene la necessaria esistenza degli alieni in altre galassie
è una variante del cosiddetto pluralismo: ovvero il numero di pianeti abitabili
alla stregua della terra deve essere un numero molto grande a giudicare dal gran
numero di galassie e stelle che noi vediamo sul piano celeste o con i
radiotelescopi. Dai greci, a Giordano Bruno ad Alberto Magno quello del
pluralismo è un argomento che ha colpito l’immaginazione di filosofi e
religiosi. Fin da quando l’uomo guarda al cielo con atteggiamento che con il
passare dei secoli è sempre più disincantato ha cercato altri abitanti
dell’universo, prima nel sistema solare – a partire dagli ipotetici marziani di
Schiaparelli – poi – una volta visitato e scrutato il sistema solare – nelle
lontane galassie.
In realtà quello che la scienza ci può dire è che noi siamo attualmente
l’unica forma di vita intelligente del cosmo.
Padre George Coyne (astronomo) si è accattivato subito la
simpatia e l’applauso del pubblico, affermando che è un po’ di tempo che non si
chiede più se ci sia vita intelligente nello spazio, ma se ci sia vita
intelligente a Washington.
Il titolo del suo intervento è stato “La danza dell’Universo
fertile”. Accompagnandosi con una serie di diapositive, padre Coyne ha
sostenuto la tesi di panspermia evidenziando
però come la vita cosciente sulla terra sia frutto del caso che si è potuto
organizzare all’interno delle leggi universali della fisica.
Tramite una serie di immagini relative al ciclo di vita di una stella e alla
nascita dei pianeti, al rapporto tra scala dell’essere e complessità
epistemologica oppure alla relazione che lega nascita del tempo (come direbbe
Stephen Hawking) e complessità e usando la famosa analogia storia della
terra= un anno (se il tempo trascorso dalla nascita della terra ad oggi fosse pari ad un
anno), padre Coyne ha mantenuto sulla vita sulla terra uno sguardo distaccato da
scienziato. Il punto di vista dello scienziato non è stato sostituito dalla
fede del credente (atteggiamento da lui stesso esemplificato con la famosissima
barzelletta di Sherlock
Holmes e dott. Watson in campeggio).
L’intervento si è concluso sforzandosi di trasmettere un’interpretazione non
teleologica della vita sulla terra: quello della vita sulla terra è un fatto
inevitabile non un fatto necessario. L’inevitabilità presuppone che la vita
sulla terra sia frutto di una serie di coincidenze che si sono create
all’interno delle leggi naturali rappresentate dalle forze della fisica e
dell’evoluzione, la necessità presuppone l’esistenza di un progetto che non
potrebbe che essere di origine divina.
Come ha acutamente osservato Capaccioli padre Coyne usa Dio quando deve pregare,
non quando fa lo scienziato.
Alla fine è toccato a me, presentato come
Sociologo della Tecnologia (etichetta da me suggerita perché è quella a cui
tengo di più).
Per prima cosa sono partito dal presupposto che sia possibile la vita su altri
pianeti più o meno lontano dal nostro senza scendere in particolari dettagli, l’ho
dato per assunto. Dopodiché ho illustrato quale sarebbero stati i tool
concettuali con i quali avrei delineato degli scenari possibili delle
conseguenze sociali nel momento in cui trovassimo gli alieni.
Il primo concetto a cui fatto riferimento è stato quello di analogia: gli
avvenimenti storici che hanno costellato lo scorrere dei secoli della civiltà
umana ci possono dare una mano enorme per comprendere cosa potrebbe accadere nel
momento in cui incontreremmo civiltà diverse. Un esempio potrebbe essere la
scoperta dell’america da parte di Colombo e le relative conseguenze politiche,
sociali e tecnologiche.
Il secondo concetto chiave è stato quello di fantascienza. La fantascienza ha
scritto più volte e da vari punti vista sul tema del rapporto con intelligenze
aliene e il suo meccanismo narrativo non si discosta da quello dei racconti
fantastici e delle fiabe. Quello che invece è interessante della fantascienza
non è tanto la sua capacità previsionale, ma la sua capacità speculativa,
ovvero il modo che essa ha di immaginare le conseguenze sociali delle nuove
tecnologie o del contatto con intelligenze extraterrestri.
In realtà l’analogia storica e la fantascienza non sono altro che due facce
della stessa medaglia: la riflessione che l’uomo fa su se stesso e sulle cose in
cui crede, i suoi valori.
Una volta mostrati gli strumenti, ho elaborato una tipologia piuttosto rude sul
tipo di esseri alieni con cui potremmo avere a che fare.
Lavorando sulle due
variabili più interessanti in un’ottica antropocentrica – l’antropomorfismo e
la coscienza – potremmo avere a che fare con esseri non antropomorfi non
coscienti, non antropomorfi coscienti, antropomorfi non coscienti, antropomorfi
coscienti. Mi sono concentrato su due casi limite: gli esseri non antropomorfi
non coscienti e gli esseri antropomorfi coscienti.
Per quanto riguarda gli esseri non antropomorfi non coscienti (qualche specie di
virus o di batteri) il tipo di relazione che potremmo instaurare è quella di
studio. Con questo tipo di relazione la principale conseguenza sociale potrebbe
essere quella di un importante avanzamento delle nostre conoscenze scientifiche.
Un po’ come la situazione descritta dal romanzo (e dal film
omonimo) Andromeda
di Michael Crichton.
Per quanto riguarda gli esseri antropomorfi coscienti, bisogna distinguere due
livelli di interazione: la comunicazione e la tecnologia.
Per quanto riguarda la comunicazione la scienza è del parere che così come le
leggi della fisica sono presenti in tutto l’universo, le regole della matematica
presumibilmente dovrebbero comportarsi nello stesso modo perciò l’esperanto
intergalattico dovrebbe essere qualche forma di linguaggio basato sulla
matematica. Il problema è che il linguaggio non è solo uno scambio di segnali
da un emittente A ad un ricevente B, il linguaggio presuppone tutta una serie di
codici che non possono essere dati per scontati. L’esempio che potrebbe essere
preso come esemplificativo della situazione è data da un romanzo (di cui non ricordo
né titolo né autore) In questo romanzo si narra come gli alieni abbiano deciso
di distruggere la Terra in quanto delusi dal fatto che gli esseri umani non
somigliavano per nulla all’elegantissima placca
di metallo presente sulla sonda Pioneer
(effettivamente esistita), entrata in possesso di questi alieni tanto
curiosi quanto suscettibili.
Dando per scontato che sia possibile comunicare con questi alieni antropomorfi
coscienti, si colloca in primo piano la questione del rapporto tecnologico.
Ovvero il primo contatto potrebbe avvenire sicuramente con una classe di alieni
tecnologicamente più avanzati di noi (altrimenti saremmo noi da loro). La
questione è: come relazionarci con tali creature? Si potrebbe mettere in atto
un processo di trasferimento tecnologico da loro a noi, ma in che modo? Chi
beneficerebbe della nuova tecnologia? La nazione che ha avuto il contatto o una
commissione internazionale?
Tra l’altro gli alieni potrebbero anche decidere non trasferire le conoscenze
tecnologiche perché – magari – non ci considerano eticamente pronti (credo che
gli appassionati di Star Trek abbiano riconosciuto il riferimento al pilot
di Enterprise). Inoltre anche i nostri valori dovrebbero essere rinegoziati
in quanto è presumibile che una civiltà tecnologica avanzata sia avanzata
anche dal punto di vista etico.
Il dibattito è proseguito con il pubblico e
tra i relatori. Il pubblico è rimasto particolarmente affascinato dalla
dicotomia inevitabilità/necessità della vita argomento introdotto da padre Coyne ed ha
cominciato a bombardarlo su questo tema, sentendosi rispondere in modo diverso
ma sottendendo la stessa idea: non c’è bisogno di scomodare Dio per parlare
dell’apparizione della vita sulla terra.
Il dibattito fra relatori si è instaurato tra Capaccioli e me. Capaccioli ha
fatto due obiezioni al mio discorso.
La prima è che la placca del Pioneer non aveva lo scopo di comunicare con
intelligenze altre ma solo di rassicurare il pubblico che la missione nello
spazio aveva scopi più “nobili” della “semplice” ricerca
scientifica.
La seconda obiezione è relativa al rapporto fra avanzamento tecnologico e
etico: ovvero attualmente gli Stati Uniti sono tecnologicamente avanti a noi, ma
non per questo lo sono eticamente.
Come ho risposto?
Alla prima obiezione ho detto che se la ricerca scientifica ha bisogno di
legittimare se stessa agli occhi delle persone facendo propri una serie di
valori che non necessariamente gli appartengono, allora questo ci deve far
riflettere sul rapporto tra valori nella scienza e valori pubblici (etica della
scienza vs etica pubblica).
Alla seconda obiezione ho fatto notare che sono anch’io d’accordo che gli Stati
Uniti non sono eticamente all’avanguardia cosi come lo sono tecnologicamente, ma
l’avanzamento tecnologico degli USA rispetto a noi è poca cosa rispetto
all’avanzamento tecnologico che potrebbero avere degli esseri alieni. Inoltre
presumibilmente alieni di gran lunga più tecnologicamente avanzati di noi
potrebbero avere valori piuttosto forti perché la tecnologia è una forma di
potere e come tutti i poteri porta con sé delle precise responsabilità. Un po’
come il rapporto tra medico e paziente che è stato ripensato in anni
relativamente recenti dopo che il processo di Norimberga aveva portato a galla
tutte le crudeltà perpetrate dai medici nazisti nei campi di
concentramento.
In sintesi l’incontro è stato molto bello
perché ho incontrato degli esponenti del mondo scientifico con cui è stato un
piacere intellettuale confrontarsi e discutere di temi così di frontiera.
Inoltre sembra che il pubblico abbia gradito tutti i punti di vista esposti.
PS: rispondo alla domanda che nella testa di
qualcuno di voi potrebbe ronzare. Sì, padre Coyne è un personaggio veramente
simpatico (oltre che intelligente). Ci siamo recati insieme alla stazione di
Campi Flegrei prendendo lo stesso taxi, e così ha avuto un’altra occasione per
raccontarmi un’altra barzelletta.
PPS: Non so mai se leggerà queste righe voglio
ringraziare pubblicamente Alessandra
Zanazzi Responsabile Planetario e Attività di Astronomia della Città della
Scienza che nonostante avesse un sacco di cose da fare per preparare l’incontro
ha trovato il tempo per farmi da guida per la mostra su Marte e su altre mostre
permanenti (tra cui una molto affascinante sulle tecnologie della
comunicazione).
Sar
… e poi qualcuno dice che gli alieni non sono seria materia di studio… bene… mi mandi una versione per elettropedia link compresi?baci