In queste ultime ore sta tornando nel buzz mediatico digitale l’idea che forse chi scarica musica dalle reti per il file sharing non sia poi un pirata nel senso che consuma prodotti musicali solo illegalmente.
Il ritorno di fiamma di questa idea è attribuibile ad una ricerca inglese a cui è stata data visibilità da Boing Boing e che è stata ripresa da diverse testate online (Punto Informatico, Corriere della Sera, PcWorld e tanti altri), oltre che dalle diverse conversazioni provenienti dall’universo dei media sociali.
L’occasione per me è ghiotta, in quanto ad alcune domande relative al consumo di contenuti digitali (chi scarica da internet acquista CD/DVD? Come cambia la fruizione di concerti dal vivo e di cinema? …) ho provato a rispondere con una ricerca di cui sono stato direttore e che ho svolto nel 2007 per conto della Fondazione Luigi Einaudi di Roma e i cui principali risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista “Sociologia della Comunicazione” edita da Franco Angeli.
Le slide di sopra sono una sintesi dell’articolo di cui dicevo, mentre se siete interessati al rapporto completo, potete consultare la pagina Ricerca sul file sharing, qui su tecnoetica.
Se andate di fretta, potete dare uno sguardo alle slide – che troverete qui in basso – con cui ho presentato i risultati della ricerca al convegno di chiusura del lavoro svolto presso la Biblioteca del Senato il 4 maggio del 2007.
One thought on “L’utente di file sharing oltre il senso comune”