Per chi come me sta studiando sociologicamente il mondo dei social media, si sarà incontrato nella letteratura informatica che – grazie alla diffusione dell’internet delle persone – studia sempre più spesso reti tecnologiche che sono anche reti sociali (secondo un classico leit motiv di studiosi come Barry Wellman).
In questo mio girovagare fra letteratura scientifica non sempre sociologicamente ortodossa, ho incontrato due autori i cui lavori sono molto interessanti per gli studiosi di network (analysis ma anche society) e che potrebbero indicare una nuova genìa di ricerche interessanti e con metodologie assolutamente nuove e affascinanti, e che danno un certo spessore teorico e metodologico ad alcune cosette micro che sto facendo io in questo periodo (tipo il mio interesse verso il social media monitoring, alcuni giochetti di data visualizazion e un’infatuazione verso i mercati predittivi)
Jon Kleinberg
Ho intercettato questo brillante informatico della Cornell University praticamente per caso – come tutte le scoperte importanti – ma devo la comprensione dei suoi lavori e l’apprezzamento per i suoi studi ad una chiacchierata fatta con Alessandro Panconesi (docente di informatica all’Università La Sapienza).
Kleinberg è un docente di informatica della Cornell University e si occupa di diverse tematiche legate agli algoritmi.
Quello che rende il suo lavoro molto interessante per noi che ci occupiamo di Scienze Sociali è sicuramente la dimensione della modellistica legata alle reti e alle forme di propagazione delle informazioni, ma anche la sua sensibilità verso un’intepretazione non solo algoritmica dei meccanismi attraverso cui si costruiscono le reti sociotecniche e di circolazione delle informazioni.
Interessanti anche i suoi studi di data visualization: un lavoro molto recente è Memetracker, sull’analisi della circolazione delle notizie durante la campagna presidenziale statunitense del 2008 di cui sopra è possibile vedere un’immagine statica ma sul sito è possibile giocherellare con una versione interattiva.
Per inciso, in questo lavoro fa parte del team di ricerca anche Jure Leskovec, altro autore interessante di cui ho studiato alcuni suoi lavori per un articolo che ho scritto per Internet Magazine (disponibile in calce al post) su indicazione dell’amico Massimo Mattone (nonchè caporedattore della rivista).
Per capire modelli e analisi di Kleinberg, consiglio uno sguardo al libro che verrà pubblicato nel corso del 2010 (già disponibile in formato draft) dall’affascinante titolo Networks, Crowds, and Markets: Reasoning About a Highly Connected World, scritto assieme a David Easley (docente di Scienze Sociali) e frutto di un corso interdisciplinare tenuto – ovviamente – alla Cornell.
Duncan Watts
Il mio incontro con Duncan Watts è decisamente più classico, infatti di formazione è un sociologo e come tale l’ho letto in un suo interessante saggio apparso su Annual Review of of Sociology dal titolo The “New” Science of Networks, in cui faceva una rapida rassegna (nel più puro spirito della rivista) su cos’è e come è cambiata la scienza delle reti sociali e tecnologiche (con tanto di citazioni di Milgram, Barabasi e anche lo stesso Kleinberg).
Watts è anche autore di Six Degrees: the Science of the Connected Age, un bel libro sul tema della connettività socio-tecnica a partire dai famosi studi di Stanley Milgram e Mark Granovetter, oltre ad aver sviluppato assieme a Steven Strogatz un modello matematicamente interessante che spiega il fenomeno del piccolo mondo.
Watts inoltre è autore di diversi studi metodologicamente interessanti che usano le potenzialità di internet come strumento di somministrazione e di cui ho già parlato circa due anni fa qui su tecnoetica.
Al di la dei commenti, una domanda comincia a solleticarmi: cosa stanno diventando le scienze sociali in un’epoca di tracce lasciate in rete?
Sicuramente vedo un convergere di riflessioni sociologiche e spiegazione modellistiche tipiche della matematica o dell’informatica.
Forse stiamo arrivando ad un settore davvero transdisciplinare in cui matematici, fisici, biologi, sociologi, psicologi possono sedersi intorno a un tavolo e discutere di fenomeni similari.
Beninteso non sono uno che ritiene che la capacità esplicativa delle scienze sociali sia “debole” rispetto alla scienze matematiche, fisiche e naturali: sono del parere che le scienze sociali possono spiegare un sacco di cose senza necessariamente ricorrere a formalismi (penso a Goffman e alla scuola interazionista e etnometodologica).
Ma sta di fatto che attualmente stanno nascendo metodi e strumenti che potrebbero portare a rivedere alcuni strategie di ricerca nelle scienze sociali.
Se non altro nel caso di fenomeni collettivi complessi (diffusione delle notizie in rete, costruzione delle opinioni online, comportamenti sociali tecnologicamente mediati e così via dicendo).
Anche perchè nella testa mi gira spesso il termine dispregiativo usato da Richard Feynmann per stigmatizzare alcune cative abitudini di certe scienze sociali: cargo cult science.
C’è qualcun altro in ascolto che si sta occupando di temi simili?
Davide, cribbio, cosa vuol dire “C’è qualcun altro in ascolto che si sta occupando di temi simili?” 🙂
Certo che ci siamo, lo vedi da Feedburner e dalle tue statistiche, e pure da anni.
Questo articolo mi è arrivato sull’aggregatore anche segnalato da Maistrello, e per conto mio ho provveduto a girarlo ad altri colleghi interessati a sociologie varie.
Avresti dovuto (chiaramente, dal mio punto di vista partigianissimo) mettere anche un semiotico intorno a quel tavolo con psicologi e sociologi, perché fatta salva la necessità di guardare alle ricezione dei media e ai cambiamenti sociali indotti, ci sarebbe da fare un vero e proprio lavoro di analisi base sui sistemi di significazione e sui processi di comunicazione, anche secondo semiotica classica anni ’70, toh.
Ci sono in atto nuovi meccanismi velocissimi di costruzione del senso, individuale e mediatico, che poi coinvolgono le nostre competenze comunicative. Ma di certo sai bene di cosa sto parlando.
Caro Giorgio, grazie per il tuo commento (soprattutto per il “cribbio”) 🙂
In realtà la mia era solo una piccolissima provocazione per vedere chi fra i lettori di tecnoetica potesse essere interessato all’argomento (sospettavo in qualcuno che lo fosse).
Concordo con te sulla colpevole assenza della semiotica, ma a mia discolpa posso dire solo che frequentandola poco, non mi è venuta in mente.
E se hai altre osservazioni da fare, sono più che benvenute.
it was very interesting to read.
I want to quote your post in my blog. It can?
And you et an account on Twitter?
I would like to exchange links with your site http://www.tecnoetica.it
Is this possible?