Giovedì prossimo – il 6 maggio – inizierà una due giorni dal titolo “Mediascapes. Uno sguardo mediologico al futuro delle scienze della comunicazione“.
E’ un convegno che si svolge tra l’Università Catttolica di Milano (il 6) e l’Università IULM (il 7), che chiama a raccolta l’accademia italiana che a vario titolo e con discipline dal nome diverso si occupa di studiare la comunicazione.
Potrebbe sembrare strano che nel 2010 venga organizzato un convegno che si chiede cosa voglia dire studiare la comunicazione, quando ormai la comunicazione è dappertutto, dalla politica ai social network.
In realtà la cosa è molto meno strana se la si guarda da un altro punto di vista, quello della difficoltà di cogliere un fenomeno sfuggente come quello comunicativo, proprio più sfuggente perchè dappertutto.
Una battuta di qualche tempo fa racconta di un pesce anziano che incontra due pesci giovani e chiede loro “Buongiorno ragazzi: com’è l’acqua oggi?”.
I due pesci salutano distrattamente l’anziano e proseguono a nuotare tranquilli.
Ad un certo punto uno chiede all’altro “Senti, ma cos’è questa acqua?”
La situazione per gli studiosi della comunicazione è proprio questa: come cogliere un fenomeno che effettivamente è parte integrante della vita sociale che ci circonda? Una volta chiedersi dell’impatto dei media voleva dire parlare della televisione.
Oggi in un mondo in cui la televisione occupa uno spazio importante ma sempre meno consistente nel panorama mediale la domanda è tutt’altro che banale.
Agli studi sugli effetti dei media e la riflessione critica della società di massa degli anni ’60, alla diffusione della semiotica degli anni ’70, alla proliferazione di cultural studies e media studies degli anni ’80 fino al sorgere degli studi sui media digitali degli anni ’90 sono succeduti i primi anni del XXI secolo che effettivamente chiedono di ripensare cosa voglia dire comunicare, ma soprattutto ripensare categorie come broadcast, media di massa, industria culturale, comunicazione interpersonale.
Il convegno Mediascapes che già dal nome sottolinea un debito (se non altro terminologico) con i più recenti cultural studies (quelli che si sono interrogati sulla globalizzazione) affronterà la questione da una prospettiva mediologica (come rivela il sottotitolo).
Mediologia è un neologismo che indica che i mezzi di comunicazione di massa hanno una loro specifica logica – che ingloba componenti come la dimensione materica dei media, l’aspetto sociale, istituzionale e ideologico – che giustifica l’idea che i media siano qualcosa che vanno al di là delle barriere disciplinari (come tutti i fenomeni complessi, d’altronde).
Io devo confessare una certa difficoltà a riconoscermi nel discorso mediologico, forse perchè troppo tempo ho passato a studiare le scienze sociali. Ma concordo sul fatto che è arrivato il momento di fare un po’ d’ordine confrontandosi con i colleghi perchè le domande sul rapporto media e società sono diventate sempre meno facili da rispondere.
Per esempio: poniamo che si voglia studiare – sociologicamente – il fenomeno Youtube.
Come va studiato? Come variante digitale della cultura broadcast o come componente tecnologica delle relazioni sociali contemporanee?
Insomma Youtube è più vicino culturalmente alla televisione o al telefono?
Domande che sono sempre meno accademiche.
A seconda se si risponde l’uno o l’altro si può essere più o meno d’acccordo con la sentenza che ha condannato i dirigenti di Google per il video del ragazzo down che subiva angherìe da parte dei compagni (Vividown VS Google).
Io sarò a Milano: un po’ per vedere tanti amici, un po’ per confrontarmi con colleghi, un po’ anche per capire come impostare nel futuro il mio lavoro come docente e come professionista dello studio dei media.
E soprattutto per evitare di pormi domande sull’acqua solo quando sarò un pesce anziano.
segnal Azione
http://www.nazioneindiana.com/2010/06/09/photoshopero68-mediascapes-videoreport/
ciao
effeffe