Parlare di guerra in Iraq all’indomani della morte dei carabinieri italiani a Nassiriya è molto dura per due motivi: primo perchè per la seconda volta l’Italia è costretta a piangere i suoi caduti che spesso assumono i volti di giovani ragazzi e padri di famiglia, secondo poi perchè è sempre più difficile capire un conflitto che sta perdendo progressivamente di senso per un numero enorme di motivi, non ultimo la complessità politica di quelle zone.
Cercare di comprendere il senso della guerra In Iraq e lo stato d’animo di chi è costretto a combattere in un territorio sconosciuto e ostile è un problema che deve aver colpito anche Deborah Scranton, data la maniera piuttosto originale con cui ha realizzato il suo documentario.
La Scranton è una regista cinematografica che ha utilizzato una tecnica – da lei definita virtual embedded – piuttosto interessante per girare The War Tapes, un documentario sulla guerra in Iraq che è stato selezionato per il Tribeca Film Festival di New York e che sarà proiettato in anteprima proprio domani.
La regista americana ha fornito un gruppo di soldati della Guardia Nazionale del New Hampshire di una serie di videocamere con cui riprendere il loro anno di servizio militasre da trascorrere in Iraq.
Non Solo.
La Scranton si è anche tenuta in contatto con i suoi “operatori” comunicando tramite email e instant messaging, dando suggerimenti tecnici e consigli di ripresa. Come una vera regista farebbe con la sua troupe.
Il risultato sono state 800 ore di girato, diventate un documentario di 90 minuti, The War Tapes, appunto.
Come è facile immaginare ci sono tutti gli elementi tipici dell’immaginario bellico, con la differenza che qui sono reali.
Operazioni in notturna virate sul verde-nightvision, esplosioni, azioni concitate, momenti di stanchezza dei soldati. Tutto ripreso in maniera assolutamente cruda e impietosa.
Quello che rende il documentario diverso da tutti gli altri, non è solo la tecnica registica, ma il fatto che lo sguardo sugli accadimenti è quello degli stessi soldati coinvolti direttamente sul campo di battaglia, veri e propri co-registi del reportage.
Deborah Scranton va oltre e afferma:
They became journalists. This isn’t like soldiers making home movies. This was a process, a conscious effort for us to together tell the experience of what it means to go to war.
A mio avviso un nuovo capitolo di citizen journalism, declinato rispetto al medium cinematografico che sta cambiando molto più rapidamente di quanto riusciamo a vedere.
Curiosità: al festival di Tribeca l’Italia è rappresentata – tra gli altri – dai film “Romanzo Criminale” e “Viva Zapatero!”.