Qualche giorno fa sono stato ospite delle cantine Bonaventura Maschio in occasione di un evento indirizzato ai foodblogger e organizzato per sensibilizzare sul concetto di acquavite d’uva.
Il sottoscritto certamente non è un foodblogger nè – tantomeno – un esperto di distillati: c’è chi meglio di me ha saputo raccontare la giornata, con accuratezza rispetto alla componente relativa alla cultura enogastronomica.
C’è stato però un aspetto relativo all’innovazione che mi ha profondamente colpito, e una volta raccontata la cosa, cercherò di dire anche perchè.
Cominciamo con un paio di informazioni di contesto sul mercato dei distillati a base d’uva (mi scuso in anticipo per le inevitabili imprecisioni).
Nella seconda metà degli anni ’80, il prodotto di “acquavite d’uva” era un prodotto pressochè inesistente nel panorama dei distillati, anche perchè il prodotto di punta era senza dubbio la grappa derivante dalla distillazione di vinaccia d’uva (prodotto secco) mentre l’acquavite è un distillato di materia prima fermentata (prodotto liquido).
Nel 1998, per un mix di marketing e innovazione (componenti spesso mixate in diversi settori industriali), le distillerie Bonaventura Maschio decisero di progettare un calice da degustazione dei distillati che valorizzasse il bouquet (testa, corpo, coda) dei distillati.
Perchè è necessario? Perchè a differenza dei vini – che hanno un bouquet molto intenso e persistente, i distillati solitamente rilasciano i propri aromi in maniera molto più veloce e immediata, e in quantità di gran lunga inferiore.
Pertanto serve un bicchiere che valorizzi la volatilità degli aromi e raggiunga rapidamente l’olfatto.
Facciamo un esempio: per degustare un distillato dai profumi complessi – come un’acquavite d’uva – non è necessario roteare eccessivamente il bicchiere (come si fa col vino) ma semplicemente dare un semplice colpo di polso per passare all’aroma successivo, quasi “come se si sfogliassero le pagine di un libro” secondo una bella metafora usata da Andrea Maschio.
Qual è stata la soluzione? La soluzione è stata un bicchiere (più correttamente un calice da degustazione) che rispettasse la proporzione aurea, ovvero quello strumento matematico, lascito della cultura greca classica nella versione rettangolo aureo, che consiste nel “rapporto fra due grandezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due” (A:B=B:C, dove B>A e C=A+B).
Il bicchiere – qui rappresentato – è stato senza dubbio un successo, stando anche all’aneddotica che ci è stata raccontata.
Come quella volta in cui il mastro distillatore di una celebre distilleria di whisky scozzese, pianse nell’assaggiare il proprio prodotto con il calice “aureo”, colpito dal fatto che il suo personale bicchiere, con cui effettuava la degustazione e che teneva gelosamente custodito sotto chiave, non reggeva il paragone.
Quello che più mi ha colpito, è che non c’è nessuna teoria scientifica sull’evaporazione dei liquidi che confermi l’effetto di persistenza e concetrazione degli aromi reso possibile dal calice da degustazione Bonaventura Maschio.
Mi ha colpito nel bene, in quanto la soluzione scelta comunque si rifà ad una serie di costanti geometriche che si incontrano spesso in natura (come la successione di Fibonacci, per esempio).
Quindi il design, ispirato ad una ricerca di un particolare effetto ha dato vita ad un oggetto semplicemente sofisticato, che tante soddisfazioni ha dato a chi lo ha ideato.
Davvero complimenti.
One thought on “Prime uve, il bicchiere e la sezione aurea”