La società dei media digitali raccontata all’Istat

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Come molti di voi sapranno, ieri è stato presentato il mio libro “Sociologia dei media digitali” nell’aula magna dell’Istat a Roma, con Tommaso di Fonzo, (Istat: Direttore della Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche) in ruolo di chairman e Anna Masera (La Stampa) e Emanuele Baldacci (Istat: Dipartimento per l’integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca) come discussant.
Sul perché presentare un libro a circa due anni dalla sua uscita, rimando al mio post precedente.

Confesso che oltre ad essere felicissimo di presentare il mio libro all’Istat (per un sociologo che usa i dati l’Istat è un sancta sanctorum) ero piuttosto nervoso, soprattutto perché, a parte Anna Masera che ho avuto modo di apprezzare come relatrice in diverse occasioni, non sapevo bene che atmosfera avrei trovato.
Mi sono rilassato in circa 30 secondi poiché sia Tommaso di Fonzo che Emanuele Baldacci sono stati gentilissimi, mi hanno messo a mio agio e si sono presentate con le loro copie del mio libro accuratamente sottolineate, evidenziate e analizzate.

 

La presentazione di Tommaso di Fonzo è stata molto interessante.
Ha rivelato che la presentazione del mio libro è stata esplicitamente voluta da Enrico Giovannini, past president dell’Istat e attuale Ministro del lavoro e delle politiche speciali (che onore 🙂 ).
Perché l’Istat è interessata ai social media? Per due motivi.
Il primo perché effettivamente sono processi sociali e culturali molto interessanti che cambiano anche il modo di comunicare il dato, il secondo perché l’Istat vorrebbe usare queste tecnologie in un’ottica di sviluppo di community interne per migliorare i processi lavorativi e decisionali.

Si aprono i lavori

Dopodichè è toccato a me e alla mia presentazione.
La ratio del mio intervento è stata: il libro ha molti temi diversificati ed è nato da un’esigenza didattica e di sistematizzazione. In occasione della presentazione all’Istat, ho usato come leit motiv la tensione fra continuità e cambiamento, cercando di aggiornare alcuni processi che da quelle riflessioni hanno preso piede.
Come al solito, le slide sono qui in basso.


La parola ai discussant

Anna Masera ha detto che il libro è molto interessante, ricco di spunti, forse un po’ troppo “democristiano”  (touché) nell’insistere sull’aspetto non-necessariamente-rivoluzionario dei social media, strumenti che sono invece rivoluzionari in quanto radicalizzano la partecipazione collettiva e la dimensione della trasparenza. Usando le parole della mia introduzione, si è autodefinita tecnoentusiasta anche se ritiene che la discussione sui social media NON può ridursi alla contrapposizione apocalittici/integrati.
Dopo una accurata descrizione della struttura del mio libro (per chi non lo conoscesse: cap.1 i social media rispetto ai mass media, cap.2 le principali piattaforme, cap.3 etica e valori AKA tecnoetica), ha giustamente, sottolineato che il ruolo dei social media va compensato alla luce di fenomeni come il digital divide, problema italiano piuttosto serio.
Convitato di pietra che poi si è rapidamente materializzato è stato Enrico Mentana e la sua decisione di “abbandonare” Twitter e la resistenza di certi VIP all’interattività dei social media a cui non sono abituati (tema che grazie ad un tweet di Anna scopro essere anche il tema di un articolo di oggi di Gianluca Nicoletti)

 

Emanuele Baldacci ha mostrato subito il tono del suo intervento assestando due colpi retorici ben piazzati. Il primo è aprire con la dedica che il mio libro fa verso mia figlia ( 🙂 ), il secondo facendo riferimento alla sovrarappresentazione mediatica degli effetti dei social media citando il famoso pezzo “Don’t believe the Hype” dei Public Enemy.
Se il discorso di Anna Masera ha fatto risuonare le mie corde come sociologo (importanza dei social media, processi nuovi, trasparenza), il ragionamento di Baldacci ha titillato il mio attuale interesse verso la data culture (Big Data, data science, open data, Economia comportamentale e sperimentale, infografica e visualizzazione).
In soldoni, l’Istat sta attraversando un importante processo di cambiamento della sua mission sia in senso istituzionale che rispetto alla cultura del dato statistico. Serviranno sempre di più modalità diverse di approcciare all’informazione statistica e quantitativa come: la possibilità di sviluppare servizi di tipo nuovo, democratizzare l’accesso al dato, progettare dati in modalità plug-and-play così da poter essere implementati in altri set di dati o servizi. Questo modo diverso di approcciare al dato richiede nuove strategie, nuove professionalità (i data scientist) e nuove competenze (sofwtare, datamining, eccetera).
Un ragionamento molto bello e molto affascinante se si pensa che fatto dentro una istituzione, l’Istat, che è l’archetipo del modo tradizionale di intendere l’informazione statistica e la riflessione sul dato quantitativo.
Un ragionamento che diventa avveniristico se si pensa sul dibattito metodologico di alcuni settori delle scienze sociali in Italia. #IMHO 🙂

La parola alla sala

Fermo restando che sto preparando uno Storify che raccoglie l’hashtag #ISTATSMD con tutti i tweet delle conversazioni che sono avvenute durante le mie slide e discussion, dando la parola alle persone presenti in sala sono emersi tre temi,
1. La qualità dell’informazione in rete
2. La digital literacy
3. Il problema della privacy e sorveglianza

Le risposte che abbiamo dato, secondo diverse sfaccettature, si sono così organizzate:
1. In rete c’è roba buona e roba cattiva. Processi collettivi fanno si che la rete elabora gli anticorpi per contrastare la circolazione di falsità
2. Insegnare ai giovani l’uso della rete ha senso solo se esiste collaborazione fra docente e discente
3. La sorveglianza è un problema serio, non esistono risposte univoche ma dobbiamo aspettare il rafforzarsi ddi una cultura dei diritti digitali.

Altri dettagli prossimamente nello Storify 🙂

Vorrei comunque ringraziare pubblicamente una serie di amici che hanno avuto la pazienza di venirmi ad ascoltare: il gruppo di Interact, Rosario Di Girolamo, Patrizio Di Nicola, Daniele Frongia, Massimo Chiriatti.

 

One thought on “La società dei media digitali raccontata all’Istat

  1. Complimenti!
    Finalmente son riuscito a ritagliarmi un po’ di tempo per guardare le diapositive… davvero interessanti [e con “effetto nostalgia”: la mia citazione preferita, da L. Carrol, che avevo inserito anche nella tesi di laurea :-)]
    Penso che sia importante che (anche) nel pubblico si inizi a ragionare con serietà sul tema. I margini di miglioramento, per essere a tutti i costi ottimisti, sono moooolto ampi…

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