Uno dei lavori di ricerca più importanti che mi ha impegnato negli ultimi mesi, è senza dubbio il mio volume “Il computer come macroscopio” (qui trovate il link al libro), appena uscito nella collana Neo di Franco Angeli, diretta da Daniele Chieffi.
Il volume nasce da una mia esigenza scientifica: quello di introdurre nella saggistica italiana il tema della scienza sociale computazionale, ovvero un settore di ricerca emergente a metà tra scienze sociali e informatica, che avrà sempre maggiore visibilità nei prossimi anni.
“Quindi è un libro accademico, destinato ad un pubblico di specialisti”.
Non precisamente.
Ovviamente è scritto da uno studioso accademico ed ha sicuramente un intento scientifico. Infatti alcune delle questioni che sollevo fanno parte del dibattito degli addetti ai lavori.
Il trucco però sta nel fatto che questo dibattito avviene – si – fra gli addetti ai lavori (in prevalenza ma non solo), ma ha conseguenze sulla vita di ognuno di noi.
Quindi, in puro stile bloggereccio, ecco una lista dei sei motivi per cui (secondo me) vale la pena leggere il mio libro “Il computer come macroscopio”.
1. Perché il titolo spiega l’impostazione
Il telescopio serve per vedere le cose che si trovano enormemente lontano, il microscopio serve per vedere le cose enormemente piccole.
E il macroscopio?
Il macroscopio è lo strumento che serve per vedere i processi sociali che sono estesi sia nel tempo che nello spazio. È pleonastico sottolineare che questo macroscopio non è altro che il computer, inteso come artefatto informatico in grado di visualizzare processi sociali.
La componente visiva di questa metafora – dal mio punto di vista – è senza dubbio fondamentale. Perché per comprendere un processo (sociale nella fattispecie) bisogna visualizzarlo, bisogna dargli una forma, altrimenti non si sa di preciso cosa sia sta osservando.
Perciò il computer si comporta come uno strumento in grado di guardare a ciò che accade nella società odierna.
Si comporta come un macroscopio.
2. Perché la società contemporanea è complessa
Per le scienze sociali, dire che la società contemporanea è complessa è dire una frase banale, e come tutte le frasi banali ha due caratteristiche: ha un suo fondo di verità, va spiegata meglio.
Quindi spiego meglio cosa voglio dire.
Semplificando il ragionamento al massimo, la complessità contemporanea è frutto di tre livelli che si intrecciano l’un l’altro.
- Il primo livello sono le persone che interagiscono fra di loro. Fin qui niente di nuovo: la sociologia nasce proprio per studiare questa interazione fra gruppi di individui e le loro conseguenze. La novità è che le persone sono sempre di più, fanno sempre più cose con sempre più persone.
- Il secondo livello sono le tecnologie. Le tecnologie sono strumenti usati dalle persone per interagire superando i limiti dello spazio (relazionarmi con chi sta vicino a me) e del tempo (comunicare con chi in questo momento è ora insieme a me). Per esempio Whatsapp: il suo successo sta anche nel fatto che io posso mandare messaggi a chi non è qui accanto a me e se ha il cellulare spento prima o poi riceverà il mio messaggio.
- Il terzo livello sono le informazioni. Quando io cammino per strada, il mio smartphone produce dati. Quando io navigo in rete, il mio browser produce dati, quando io sto su Facebook, la mia attività produce dati (like, condivisioni, commenti, eccetera). Questi dati possono essere utilizzati per essere organizzati in informazioni e queste informazioni hanno delle conseguenze.
Qualche giorno fa ero in aeroporto, quando il mio cellulare Android mi ha detto che il mio volo era in ritardo di 30 minuti. Guardo il display dei voli e in quello stesso momento un aggiornamento dice che il volo sarebbe stato in ritardo. Magia del cellulare? No: il mio dispositivo aveva letto la mia casella Gmail dove c’era il mio biglietto elettronico che dava una serie di dati sul volo e consultando un database online, Google Now aveva scoperto del ritardo del mio volo prima del tabellone. Ed io mi sono comportato di conseguenza (un altro cannolo prima di partire, per la precisione).
Adesso mescoliamo persone, tecnologie, informazioni: che cosa otteniamo?
Complessità, appunto.
3. Perché i dati hanno un impatto profondo sulle nostre vite
Avete mai sentito parlare di big data? Si? Bene: dimenticate tutto.
Adesso ragioniamo insieme: perché dovremmo interessarci ai dati?
Perché i dati nella loro forma grezza – tracce – o complessa – algoritmi – governano le nostre vite.
Acquistiamo prodotti online al miglior prezzo possibile? Grazie ai dati.
Cerchiamo informazioni sul numero del ristorante da prenotare per stasera? Grazie ai dati.
Software ci suggeriscono quali sono le notizie migliori, i voli in offerta, le scarpe di tendenza al costo più basso? Grazie ai dati.
Il telefonino ci permette di scoprire qual è il modo migliore per raggiungere in tempo una parte della nostra città che non conosciamo consigliando il mezzo pubblico più efficace? Grazie ai dati.
Devo continuare?
4. Perché tanti dati permettono di capire qualcosa in più della nostra società
Riprendiamo i big data.
Il termine indica un settore che consiste nella raccolta, archiviazione, catalogazione, analisi, accesso a enormi quantità di dati. E quando dico enormi intendo dire davvero tantissimi, talmente tanti che bisogna usare dei termini buffi per poterli quantificare.
È un po’ come le monete del forziere di Paperon de Paperoni quantificate in fantastiliardi, anche i big data hanno unità di misura che suonano strane nello stesso modo: petabyte, esabyte, yottabyte…
Quando migliaia di persone acquistano su internet, milioni di persone cercano informazioni online, miliardi di persone usano app, decine di miliardi di persone usano i social media, e tu raccogli e analizzi questa quantità di dati, succede qualcosa di meraviglioso: appaiono degli schemi, delle strutture, delle ricorrenze, dei pattern nel comportamento delle persone.
A che servono questi pattern? A tante cose, soprattutto a capire il mondo di oggi.
Vendere prodotti, capire l’uso di internet, scoprire frodi, identificare comportamenti nuovi, trovare soluzioni a problemi sociali e così via: unico limite, la fantasia (e la necessità).
5. Perché le scienze sociali che usano dati e computer sembrano uscite da un romanzo di fantascienza
Avete presente la psicostoria? È una disciplina fittizia inventata da Isaac Asimov nel suo ciclo di romanzi della Fondazione, che serve per prevedere il futuro dell’Impero Galattico su base statistica e sociologica e modificarlo secondo le proprie esigenze. Vuoi un impero più democratico? Basta agire lì. Vuoi che salga al trono un imperatore che sia aperto ai diritti delle popolazioni aliene? Basta intervenire là.
Esiste la psicostoria. No.
Anzi: non ancora.
Perché esistono altre discipline altrettanto esotiche nel nome che non vogliono controllare gli eventi degli eventi futuri, ma permettono di fare cose altrettanto affascinanti.
Sociologia analitica, scienza delle reti, simulazione sociale, memetica, cliometria e cliodinamica, economia comportamentale, umanistica digitale e culturomica. Hanno nomi pazzeschi, sembrano uscite da un racconto di fantascienza, ma esistono, stanno contribuendo al cambiamento delle scienze sociali e usano tutte dati e computer.
6. Perché i cambiamenti sociali dovuti ai dati hanno conseguenze impreviste
Lo sapevate che “House of Cards” (si, la serie con Kevin Spacey) è stato acquistato a scatola chiusa da Netflix perché le analisi dei comportamenti di consumo dei loro utenti dicevano che sarebbe stato un successo planetario?
Lo sapevate che esistono algoritmi predittivi che analizzando il comportamento di ex detenuti possono prevedere che delinqueranno ancora, prima che lo facciano? Ma se non lo hanno ancora fatto sono colpevoli? Come si esce da questa situazione alla “Minority Report”?
Lo sapevate che esistono ricercatori che hanno previsto la fine di Facebook nel giro di pochi anni con modelli matematici sofisticati, calcoli statistici precisi, analisi di dati accurate e nonostante ciò il loro ragionamento è completamente sbagliato?
Lo sapevate che Facebook sa perfettamente chi è la vostra fidanzata, moglie, amante senza che ci sia bisogno di taggarla ma semplicemente applicando dei calcoli alla vostra rete di contatti?
Lo sapevate che Facebook ha manipolato il vostro News Feed (la sezione notizie) per vedere come cambiava il vostro umore leggendo solo status positivi o solo status negativi?
Non lo sapevate?
Bene: allora è arrivato il momento di leggere il mio libro.
E poi se volete discuterne con me, potete lasciare i vostri commenti su questo blog, sul blog del progetto Neo, su Twitter (@Tecnoetica) o su Facebook.
La scienza sociale computazionale è un ambito giovane ma con una prospettiva di sviluppo molto interessante.