Simulare la pandemia per capire lockdown e distanziamento sociale

In questo lungo periodo di lockdown, grazie – o a causa – della situazione mondiale assolutamente eccezionale rappresentata dalla pandemia, abbiamo cominciato a prendere confidenza con una serie di concetti chiave tipici dell’epidemiologia.

Termini come paziente zero, tasso di riproducibilità, indice di contagio (R0), curva dei contagi, plateau della curva sono entrati a far parte dell’informazione giornalistica e attraverso essa della vita quotidiana delle persone (per gli studiosi di comunicazione classico effetto di agenda setting).

Al di la del chiacchiericcio da bar infarcito da termini tecnici, ben pochi hanno davvero chiaro cosa questi concetti vogliano dire e no, non mi sto
riferendo ad antivax e complottisti da tastiera con tracce di analfabetismo funzionale, mi sto riferendo anche a giornalisti e opinionisti vari che sono apparsi sullo spazio pubblico per un motivo o per un altro.

I concetti alla base del contenimento epidemiologico sono essenzialmente due: distanziamento sociale (anche se io preferisco dire distanziamento fisico) e curva dei contagi. Come spesso capita l’intelligenza collettiva della rete ha messo a disposizione diversi strumenti per avere maggiore confidenza con questi concetti, spesso utilizzando delle simulazioni ovvero degli scenari riprodotti al computer per poterne cogliere i concetti base.

Il primo – in ordine di tempo – apparso sulla scena è l’ormai celebre articolo del Washington Post del 14 marzo 2020 dal titolo “Why outbreaks like coronavirus spread exponentially, and how to flatten the curve” con il quale si illustravano gli effetti e le conseguenze del distanziamento sociale. L’articolo usa una simulazione piuttosto semplice – ovvero senza utilizzo di dati ma con delle animazioni, per spiegare le motivazioni alla base del distanziamento sociale e cosa volesse dire “abbassare la curva”.
Il corona simulator – come viene chiamato in gergo questo articolo – non solo ha avuto un successo straordinario tanto da essere tradotto in 13 lingue (dall’italiano al farsi), ma ha davvero “fatto il botto”, ovvero è stato l’articolo più letto di sempre del Washington Post, complice anche il tweet di apprezzamento da parte di Barack Obama e magari anche il fatto che il presidente del Venezuela Nicholas Maduro lo ha illustrato in televisione.
Un bel risultato per Harry Stevens che con il ruolo di graphics reporter faceva parte della redazione da solo sei mesi (6 mesi).

Il secondo cronologicamente parlando è uscito lo scorso primo maggio e non è precisamente un articolo di quotidiano, ma un progetto del designer Nicky Case in collaborazione con Marcel Salathè (epidemiologo) che consiste in una simulazione interattiva che può essere “giocata” oltre ad essere letta.
Io conosco da un po’ i progetti di Nicky Case perchè non è nuovo a questo tipo di oggetti comunicativi: nelle mie lezioni di Sociologia dei media digitali uso spesso il suo progetto “The evolution of trust” per spiegare le basi della teoria dei giochi, oppure “Parable of the polygons” con cui illustra una variante del tragedy of the commons usando il celebre modello di segregazione di Schelling (se vi siete persi non rammaricatevi, sono alcuni concetti della sociologia digitale e della computational social science).
Per gli esperti di media education: sono serious game per la data literacy.

Questo progetto dal titolo “What happens next?” è una simulazione interattiva per imparare le basi del modello SIR (Susceptible – Infected – Ricovered, i pignoli lo chiamano SEIR dove E sta per Exposed), ovvero il modello alla base delle previsioni della diffusione dei contagi.
La narrazione (storytelling) è piuttosto semplice e progressiva: prima si prende confidenza con il concetto di curva logistica o curva a S, poi con la curva di decadimento esponenziale, poi con il numero di riproduzione di base (R0) fino ad arrivare all’immunità di gregge.
La cosa divertente è che ognuno di questi concetti viene spiegato chiedendo al lettore (utente) di effettuare dei piccoli esperimenti di simulazione.

Il progetto è molto bello e vi consiglio di giocarci anche se non siete appassionati di modellizzazione dei processi (epidemiologici in questo caso). D’altra parte, se avete usato Plague per vedere come sarebbe andata a finire con la pandemia globale, tanto vale che usate un giocherello un po’ più sofisticato (anche se graficamente più essenziale).
Inoltre segnalo che il progetto è rilasciato in modalità Public Domain, ovvero è possibile farne un fork Github e modificarlo, magari tradurlo in italiano. E se voleste esprimere apprezzamento vero il lavoro fatto, c’è un link patreon per sostenere i suoi progetti.

Concludo con una piccola riflessione – cattiva – sul giornalismo nostrano.
Con l’arrivo della pandemia negli USA abbiamo avuto la possibilità di leggere articoli divulgativi di altissimo livello aventi lo scopo di costruire un’opinione pubblica veramente informata e consapevole.
Qui da noi in televisione quando ci danno i numeri sul contagio usano ancora i dati in tabella: non con una curva o con un grafico a barre.
Una tabella, roba che neanche chi lavora con i dati è in grado di interpretare a colpo d’occhio (Enrico Mentana sto parlando con te).
Perché? Non avete nessuno in redazione che sappia usare Excel? Posso consigliare un sacco di tutorial su Youtube, se dovesse servire.

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