Lezione collettiva: dizionario mediologico della guerra in Ucraina

Il 30 marzo 2022 il mio corso di Sociologia dei media digitali (Università di Catania) ha ospitato una lezione collettiva dal titolo “Dizionario mediologico della guerra in Ucraina”.
La lezione collettiva su piattaforma Microsoft Teams ha visto coinvolti 18 docenti e studiosi provenienti da 13 università diverse che hanno affrontato le caratteristiche comunicative della crisi in Ucraina attraverso l’analisi di una parola chiave, fino a comporre un progetto di dizionario per provare a comprendere le conseguenze mediali e sociali della crisi in corso.
Il progetto ha ricevuto una certa attenzione da parte di chi si occupa di comunicazione.

Il video della lezione è disponibile su Youtube (oppure incorporato in questa pagina).
Mi sembra però un’ottima occasione per condividere una riflessione fatta dal professore con cui ho lavorato, Alberto Abruzzese che ha scritto come commento al mio post su Facebook dove annunciavo l’evento. (PS: Per chi non conoscesse Alberto Abruzzese, qui il link Wikipedia mentre qui una lunga intervista corposa per capire il personaggio)

Non più e non ancora? Non vi sembra che lo scenario di una guerra atomica qui e ora abbia il paradossale merito di rivelare e sanzionare l’insensatezza della civiltà umana? E di rivelarlo non una volta per tutte, ma – banalmente – una volta ancora? Quasi a dovere farci sperare, semmai, che il caso, subentrando alla ragione, ci conceda la possibilità di un “nuovo”, ma falso, ancora del non più? Di un baratro della condizione umana (ricordo quello del Chaplin di Tempi Moderni con più passione dell’abisso di Adorno) se ne è parlato nell’epoca della filosofia moderna e postmoderna, ma senza trovare una davvero possibile via d’uscita dalla “filosofia negativa” che non fosse una semplice seppure sofferta svolta narrativa: estetiche insensate (l’etimologia di estetica ha in sé il proprio tradimento). Libertà consolatorie della facoltà di linguaggio di cui disponiamo in quanto animali progrediti a spesa di altri viventi.
A cosa può ancora servire la mediologia se il medium non è più altro che messaggio di se stesso? Se il legame tra il dire e il fare si rivela sempre più esile per l’impossibilità ormai palese di trovare un altro fare – un fare altrove – che riaccenda il proprio legame con il dire? Si tratta di una sindrome occasionale da attribuire al contagioso degrado, sempre più annunciato seppure diversamente denunciato, dei valori di una idea di società – degli individui, degli stati, dei luoghi e dei popoli – incapace di rinascere dalle rovine di sistemi di potere, locali e globali, sempre più incapaci di legittimarsi se non continuando a legittimare i propri fondamenti storici? Anzi le proprie umane radici? La tecnica che non possiamo dismettere se non a prezzo della vita? Stiamo assistendo a una sorta di catastrofico cortocircuito tra fallimento e rinascita di una medesima società. Una medesima unica ossessione. Una stessa sovranità. La stessa sovranità alla quale che non possiamo rinunciare in virtù dei nostri bisogni e desideri.
Ogni più sofisticata e razionalmente attrezzata, quanto più barbara e passionale analisi dello stato di guerra del mondo presente, si va esprimendo dentro i confini di una grande impostura. Tanto che vada operando in modo capillare, tra persona e persona, gruppo e gruppo, comunità e comunità, su ogni piattaforma comunicativa a lavoro in campo iconico o verbale, evasivo o intrusivo, quanto che agisca a livello delle reti di negoziazioni incrociate tra apparati di potere, nazionali e internazionali, in conflitto di interesse tra loro, tale impostura fa uso costante di parole chiave, come morte, dolore, disperazione e paura, che tuttavia vengono automaticamente co-strette dentro un significato esclusivo, fondato ora sul loro diretto riferimento agli accadimenti in Ucraina. In termini di intensità, le sofferenze della carne e delle sue affezioni, non possono essere valutate sul piano quantitativo. La qualità non può dipendere dai numeri: i numeri servono alla politica ma, se vogliamo pensare a sentire oltre alla politica e farne l’unico modo possibile per attutirne il suo perverso stato di necessità, la sua violenza inumana, la qualità va messa in primo piano. E invece politiche, culture ideologiche e media con ogni buona o cattiva intenzione stanno infierendo sull’Ucraina, sul suo territorio dilaniato da opposte politiche di potere, dimenticando che – nello stesso tempo e da sempre – il mondo vive focolai di morte e disperazione umana. La guerra è guerra, ma non è il caso che le nostre discipline partecipino ideologicamente ai soggetti in guerra o anche semplicemente si accontentino di de-scriverla. Facciamolo da individui o cittadini o altra appartenenza di ruolo ma non da ricercatori e formatori convinti di avere o volere avere una vocazione personale a fronte del mondo.
Noi che scriviamo e parliamo di tutte queste tragedie siamo inchiodati al ruolo di commentatori. Al massimo possiamo fare opinione ma così facendo, nel modo disciplinarmente competente o meno con cui lo facciamo, al massimo possiamo essere usati dai “consigliori” di chi comanda e ci comanda davvero. Il margine di intervento – seppure esile e marginale – di cui noi mediologi potremmo disporre è quello di pensare su un fronte radicalmente impolitico.
Il carico di verità che viene attribuito alla parola verità la destituisce di ogni oggettività e ne mette allo scoperto la natura comunque soggettiva (la piramide dei rapporti intersoggettivi tra i più forti e i più deboli) e in quanto tale prevaricatrice, invasiva, ineluttabile. Di conseguenza anche il “buon senso” – così chiamiamo una argomentazione che si vorrebbe onesta e responsabile – dipende tuttavia da un uso strumentale dei sensi umani che, assoggettati da opposte necessità individuali e collettive, sono parlati in nome del carnefice così come della vittima. Le azioni e il loro senso di responsabilità sono un campo di battaglia. Ecco perché credo che la mediologia, mutando la propria tradizione (che ha l’inestimabile vantaggio di essere una disciplina recente), potrebbe tentare di iniziare a ragionare su modalità del fare che la voce dei media non sta comprendendo

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *