Qualche giorno fa sono stato contattato da un giornalista della testata Airone a proposito di un articolo divulgativo sulla sociologia e psicologia delle emoticon.
La cosa mi è sembrata interessante ed ho deciso di partecipare al reportage rispondendo alle domande che mi sono state poste.
L’articolo lo trovate in edicola sul numero di Gennaio 2015 di Airone e troverete una sintesi delle mie risposte.
Qui in basso potete trovare la mia intervista completa.
Ogni osservazione/suggerimento è il benvenuto.
Emoticon: perchè usarle
1. La comunicazione tra le persone oggi è tornata a essere in gran parte scritta grazie all’avvento di chat, email, WhatsApp ecc. Sembra però che senza emoticon non riusciremmo a farci capire capire: senza, verremmo fraintesi. Eppure la scrittura esiste da millenni e fino a oggi non abbiamo mai sentito l’esigenza di questi elementi. Come mai? Forse il nostro linguaggio, quando scriviamo, è più povero di un tempo e necessita quindi di elementi come gli smiley che richiamano la comunicazione orale e la mimica facciale?
Non è un problema di povertà di linguaggio, ma un problema di uso del linguaggio. Finora la comunicazione scritta è stata utilizzata per mettere in relazione le persone attraverso uno specifico mezzo di comunicazione, ovvero la carta, sia nella versione vergata a mano (come le lettere) sia nella versione carta stampata (come il libro e il mondo dei giornali). Ora invece la scrittura non è utilizzata nel senso tradizionale del termine, ma in un modo nuovo. Infatti molti linguisti usano l’espressione “parlato-scritto” per indicare che la scrittura usata nei social network è in realtà una forma di oralità scritta, ovvero ha le caratteristiche della comunicazione scritta ma l’uso sociale è simile al discorso orale. Dato che nella conversazione orale ha un ruolo importantissimo l’espressione facciale e corporea, l’uso delle emoticon (smiley) ha precisamente questo scopo: migliorare il parlato-scritto usato nei social network inserendo elementi emotivi ed espressivi attraverso le emoticon. Questa pratica è nata con i dialoghi nelle chat testuali dei primi anni ‘90, si è diffusa grazie agli SMS, per arrivare a contaminare la comunicazione nei social media (social network come Facebook, applicazioni mobili per chattare come Whatsapp eccetera).
Emoticon: strumento empatico
2. Uno studio condotto in Australia ha dimostrato che di fronte a smiley e a sorrisi reali il cervello reagisce ormai allo stesso modo. Questo significa che le emoticon sono ormai totalmente integrate nella comunicazione scritta via chat (e simili)? In altre parole, sono una risposta all’esigenza umana di creare empatia nell’atto comunicativo?
Quando le persone comunicano tra loro, non scambiano solo messaggi testuali espliciti, ma anche messaggi impliciti usando diverse strategie comunicative, come per esempio l’uso delle figure retoriche basate sugli stili comunicativi (l’ironia, il paradosso e così via dicendo). Questo permette di creare quello che gli studi sulla comunicazione chiamano frame, ovvero un contesto significativo per interpretare la relazione sociale e comunicativa. In questo senso possiamo considerare l’uso delle emoticon: delle strategie grafiche per creare un frame interpretativo della comunicazione testuale che ha gli effetti simili alla comunicazione faccia a faccia in cui il frame creato dalle espressioni facciali e corporee ha un ruolo importantissimo.
Emoticon: strumento di comunicazione
3. Non trova che emoticon, emoji e sticker (quelli ad esempio del popolare Line messenger) sono però soprattutto uno strumento con cui rendiamo la comunicazione più divertente e quindi con cui trasformiamo l’atto comunicativo in un gioco talvolta anche fine a se stesso?
Comunicare con una persona non vuol dire trasferire un contenuto da una mente ad un’altra. Questa è un’impostazione ingegneristica della comunicazione ed è profondamente sbagliata se applicata alle persone. Le persone comunicano per gli scopi più diversi: ad esempio per creare un legame con altre persone, per esprimere dei sentimenti, per rappresentare un disagio o condividere un’emozione. La comunicazione interpersonale ha diversi livelli che si intrecciano e si intersecano tra di loro. Se la comunicazione diventa più divertente grazie all’uso di strumenti grafici come sticker ed emoji non è un grosso problema, vuol dire che si sta cercando di comunicare anche con le opportunità permesse dall’uso di strumenti grafici. È il caso – ad esempio – dell’uso delle fotografie per comunicare su Facebook. Inoltre una comunicazione non è mai fine a se stessa: se è completamente priva di contenuto informativo – come capita nella stragrande maggioranza delle volte con cui comunichiamo con le persone – vuol dire che stiamo comunicando perché vogliamo creare un legame sociale o rafforzare un legame pre-esistente. Prendiamo i discorsi generici per comunicare con gli estranei. Parlare del tempo o dell’orario è semplicemente una scusa per creare un legame sociale con un’altra persona. Ad una fermata dell’autobus, due estranei parlano del tempo non perché vogliono avere informazioni meteorologiche uno dall’altro, ma per superare l’imbarazzo di condividere la stessa situazione (l’attesa) cercando di instaurare un rapporto temporaneo tra di loro.