Il 24 gennaio 1984 durante la pausa pubblicitaria del Super Bowl andava in onda uno spot, diretto da Ridley Scott, che lanciava sul mercato di massa un prodotto iconico, il computer Apple Macintosh.
Il Mac è stato uno spartiacque per intendere l’oggetto computer.
In particolare per la sua attenzione alla bellezza del design, lezione che Steve Jobs aveva imparato – fra gli altri – da Adriano Olivetti. L’informatica era destinata non più ad essere chiusa negli uffici delle grandi multinazionali come IBM, ma come uno strumento creativo pensato per creativi. Infatti non è un caso che sia stato il primo computer ad essere dotato del mouse.
Il Mac ha rappresentato un tema chiave del rapporto tecnologia-società.
La tecnologia ci chiede cosa voglia dire essere umani: dalla mano alla mente, dalla zappa fino all’intelligenza artificiale. La tecnologia si comporta come un doppio: da un lato ci fornisce un grande potere, dall’altro ci interroga sulla legittimità di questo potere.
Oggi sono disponibili tecnologie che producono frasi dotate di senso e immagini con un loro significato, e tutto ciò ci interroga sulla nostra umanità.
Un approccio al problema potrebbe essere fare ricorso all’archetipo del cyborg: ovvero quanto resta del nostro essere umani quando viviamo in un contesto pesantemente tecnologizzato? Resta da capire come sia possibile comunicare con le tecnologie: il Mac lo ha fatto con la sua interfaccia ispirata alla metafora della scrivania, ma oggi sono necessarie altre forme di avvicinamento uomo-macchina.
Questi e altri temi nella mia intervista del 23 gennaio 2024 per Radio3 Rai Fahrenheit in occasione del quarantennale del lancio dell’Apple Macintosh.
La puntata completa qui: https://www.raiplaysound.it/audio/2024/01/Fahrenheit-del-23012024-2ae862e3-30e9-4825-8e56-05baab1cf577.html