Ieri vagando su Twitter, sono stato piuttosto colpito da un paio di tweet (Pandemia e Catepol, per intenderci) che annunciavano la chiusura del blog di Giovy.
Sono andato sul blog di Giovanni (Barbieri) ed ho letto un malinconico post di arrivederci. Le motivazioni non erano descritte in dettaglio, ma si capiva che per Giovy questo è un periodo no: fortunatamente sembra che la salute non c’entri (come dice il vecchio adagio: quando c’è la salute…).
Quello che mi ha colpito sono stati i 56 e passa commenti dei lettori di Giovy alla notizia della chiusura del blog.
La prima cosa è stata una sensazione positiva: i lettori del blog, a furia di seguire le tue tracce in giro per la rete, cominciano a sentirsi parte della tua vita e quindi – giustamente – decidono di far sapere cosa pensano della decisione di sospendere la tua attività online.
Ma poi mi sono chiesto: è davvero una brutta cosa la sospensione di Giovy.it?
Non fraintendetemi: non sto dicendo che non sia importante, sto solo dicendo che forse la cosa può avere dei risvolti positivi.
Io non conosco personalmente Giovanni, a parte un rapido incontro durante il suo speech sul vino nel Barcamp di Roma del 2007. L’ho sempre seguito online feedando il suo blog e seguendo i suoi tweet (divertenti soprattutto quando criticava il catepol-social-spamming), quindi le mi osservazioni sono relative al tipo di “rapporto” che ho instaurato con la figura di Giovanni che mi sono costruito attraverso le tracce lasciate online dalla sua identità digitale (come le sue foto su Flickr).
Stavo pensando che mi dispiacerà avere meno informazioni aggiornate e di qualità come se ne trovavano sul suo blog, così come mi dispiacerà non vederlo più passare dalla finestra del mio monitor (Firefox, per intenderci).
Però sono sicuro che in sé la cosa non è negativa.
Tutti noi passiamo dei periodi in cui non ci va di avere a che fare con le persone. Quando noi siamo in mezzo alle persone – online o in carne ed ossa – volenti o nolenti interpretiamo un ruolo, ruolo che viene costruito a partire dall’immagine che vogliamo dare di noi e dalle aspettative che gli altri si sono fatti. Nei momenti in cui “sentiamo” che c’è qualcosa che non va (nei rapporti con le persone che contano, per esempio) questa situazione comincia a diventare insostenibile. Perciò ci ritiriamo nel nostro spazio privato: pochissimi amici fidati, voglia di riflettere su cosa ci sta succedendo e così via dicendo.
La sospensione dell’identità digitale di Giovy è una crisi di ri-allineamento con il mondo circostante. Vivere costantemente su un palcoscenico sotto gli occhi di un gran numero di persone, in alcuni momenti della nostra vita può essere più una fatica che un piacere, quindi abbiamo la necessità di chiudere il sipario e ritirarci nel retroscena della nostra vita privata. E’ un momento importante, perché vuol dire che la nostra identità individuale si sta trasformando. Internet è un luogo fantastico, pieno di persone interessanti con cui abbiamo la sensazione di una vicinanza maggiore di tante altre persone che ci vivono attorno, ma in alcuni casi la vicinanza diventa soffocante quando non abbiamo gli strumenti per gestire i rapporti con il mondo esterno. Alcuni la chiamano sindrome di ipersocializzazione: stare troppo assieme agli altri può provocare problemi alla nostra identità.
Quindi secondo me, va bene che Giovanni si prenda un momento di respiro dalle sue molteplici attività digitali.
E’ una prevalenza della persona sul blogger.
Spero che queste mie parole non abbiano urtato la suscettibilità di nessuno: è il modo che ho io per riflettere su una cosa che mi ha colpito e a cui ho cercato di dargli un senso a modo mio.
Quindi: arrivederci Giovy e in bocca al lupo Giovanni 🙂
Sono (ri)entrato nel reame digitale, un paio di anni fa, per capire se un’altra realtà avesse finalmente potuto accogliermi. Io, che mi sento alieno nel mondo analogico.
Quando il proprio flusso di coscienza fa apparire quello di Leopold Bloom un fugace e leggero pensierino della sera è il momento di cercare qualcuno con cui scambiare parole finalmente esterne.
Blog e contatti in Rete mi hanno aiutato ad addomesticare la malinconia, a contingentare la depressione. Qualche volta, qualche giorno, scelgo ancora il silenzio. Ma anche se con sforzo riprendo sempre il dialogo con i miei amici oltre la brana dei pixel.
Infatti, le persone scompaiono troppo spesso dietro i personaggi (blogger o meno). Quando ci si apparta per ascoltare meglio la propria voce si ritrova la via, o quanto meno ciò che ci motiva a camminare. In momenti di questo genere si vede, in tutta chiarezza, chi è amico e chi non lo è.
@Federico
Il tuo atteggiamento positivo è molto bello, ma io mi sento più come Giovy: quando ci sono cose che non vanno, sono il tipo da contatti sociali staccati.
@Mariela
Giusto, ma credo che questo valga come norma generale di buonsenso, per evitare che vivere assieme agli altri si trasformi in vivere attraverso gli altri.