E lo chiamano cinema?

Tanto per non farmi mancare nulla, sabato 15 sono andato al cinema, una delle poche volte in cui riesco ad andarci.
Sfortunatamente il film non l’ho scelto io ma una mia cara amica che ha una passione (bontà sua) per Daniel Auteuil.

Il film in questione è Niente da nascondere (Cachè; Francia/Austria/Germania/Italia, 2005, regia di Michael Haneke).
E’ la storia di un giornalista televisivo conduttore di una trasmissione di libri (per la serie i-francesi-non-si-sono-mai-ripresi-da-Bernard-Pivot) che riceve misteriose videocassette che riprendono la sua vita quotidiana. Il mistero si infittisce quando comincia a ricevere strani disegni che lo portano a pensare che la vicenda sia in qualche modo collegata ad un avvenimento sepolto della sua infanzia.

Sembra interessante, vero?
Invece il film è di una noia quantomento delirante.

E non solo perchè ho rischiato diverse volte di addormentarmi (rischio che l’amico a cui stavo seduto vicino non è riuscito ad evitare, ma lo comprendo profondamente)
Pur proiettato in una sala di Roma avvezza a questo genere di cinematografia (nel senso che dal punto di vista ideologico il film “giocava in casa”) ho dato un’occhiata alle file intorno a me (non c’era pericolo che perdessi lo svolgersi della trama…).
Bene: il cinema era piuttosto pieno, ma ho contato che in ogni fila c’erano almeno 2/3 persone che dormivano saporitamente.
A onor del vero lo spettacolo era quello delle 22.40, ma non credo che sia una circostanza attenuante.
Per il film, intendo.

Cerco di mettere in ordine le cose che non lo rendono un film (sono del parere che non tutto ciò che viene ripreso da una cinepresa possa dirsi cinematografia).

Attori
L’unica cosa su cui veramente non ho nulla da obiettare. Splendidi e bravissimi: sia Juliette Binoche che Daniel Auteuil.
Ci vuole tutta la bravura di un attore consumato a reggere 117 minuti di niente.

Trama (?)
Come dicevo, 117 minuti di niente.
Nessuna suspence, nessun ritmo, nessuna storia, un solo colpo di scena (che comunque da solo non regge la noia della rimanente parte del film).
Non solo. Il finale è senza senso. Non perchè non lo abbia in valore assoluto, ma anche perchè è pretestuoso, forzato e solo con una smodata dose di buona volontà (da parte dello spettatore) lo si può considerare come la conclusione della vicenda.
Infatti la gente del cinema ha capito che il film fosse giunto alla fine solo quando le luci della sala si sono accese, non volendo credere che il film finisse in quel modo, nonostante apparissero i titoli di coda.

Montaggio (?)
Un film è definito dal concatenarsi delle scene e delle sequenze, è qui che si gioca il valore “autoriale” del regista.
In sintesi quando diciamo che un romanzo è di Tolstoj e che un film è di Spielberg, lo facciamo perchè riteniamo che il ruolo di Spielberg per il film sia vicino (mutatis mutandis) al ruolo di Tolstoj per il romanzo, anche se Tolstoj ha scritto il romanzo da solo mentre Spielberg ha bisogno di un esercito di maestranze per dar vita al suo film.
In questo caso il montaggio è di una banalità sconcertante: interni domestici, dialoghi che definire minimalisti equivale a sopravvalutarli, assenza (si: assenza!) di colonna sonora, tempi forzatamente dilatati, visione in soggettiva-spettatore delle misteriose casette recapitate (che allungava ulteriormente i tempi della vicenda con sequenze banali), inquadrature statiche in campo lungo di palazzi borghesi e case popolari di Parigi.
Beninteso: non è che queste scelte stilistiche annoino in quanto tali, ma tutte insieme rendono pesante un film che già lo è di suo.
Credo che questo tipo di trattamento visivo di un film abbia aggiunto sfumature assolutamente inattese al termine noia.

Ma perchè producono film così?
Secondo me perchè immagino che esista tutto un pubblico che crede che vedere film fatti male, senza ritmo, senza storia, minimali, retti solo – quando va bene – dalla bravura degli attori, vuol dire essere persone intelligenti e impegnate.
Senza capire che basta un poco di storia del cinema – e di buonsenso – per comprendere quanto sia pretestuoso e ideologico questo modo di avvicinarsi al film.

Non solo. Alcuni media rafforzano questa idea intollerabile del cinema.
Oggi ho letto la recensione entusiastica al film su D di Repubblica uscito sabato, e alla fine sarebbe stato opportuno sbottare con la stessa affermazione coprolalica del ragioner Ugo Fantozzi rispetto alla Corazzata Potemkin di Eisenstein (entrambi grandissimi film, tra l’altro).

Consentitemi un’osservazione cinica: nei titoli di testa ho contato circa 15 enti finanziatori pubblici e privati e – se non ricordo male – anche il contributo della Comunità Europea. Quanti soldi hanno potuto mettere per un film così brutto e inconsistente?

Secondo me bisognerebbe cambiare il modello di business del cinema.
Del tipo soddisfatti o rimborsati: se ti alzi dal tuo posto in sala entro il primo tempo, avrai indietro i soldi del biglietto.
Così facendo gli esercenti – anche i più ideologizzati – ci penserebbero due volte a mettere in cartellone film così brutti.
Anche se – ammetto – ci sarebbe il rischio di un effetto blockbuster: passerebbero solo polpettonazzi (USA o Italia poco importa) con scarso livello qualitativo.
Però lasciatemi dire che non credo che un film bello, profondo, che fa riflettere debba PER FORZA essere noioso.
Sarebbe come dire che l’insalata scondita è sana in senso assoluto, mentre un bella pizza margherita non è sana in senso assoluto.

Ultima annotazione: il titolo del film.
In italiano è stato chiamato: Niente da nascondere.
Secondo me un titolo più corretto avrebbe dovuto essere: Niente da vedere

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