Mi rendo conto che il titolo è smaccatamente promozionale, ma in questo periodo sto promuovendo il mio libro e quindi sono nel mood del marketing.
🙂
Una domanda potrebbe essere: perché diavolo regalare (o regalarsi) un saggio su internet, social media e social network?
Se avete la pazienza di leggere questo post posso spiegarlo.
Quale giorno fa la casa editrice Laterza ha pubblicato il mio nuovo libro dal titolo Sociologia dei media digitali.
E già questa mi sembra una frase quantomeno curiosa perché presuppone che io sforni i libri a ritmo continuo, mentre in realtà è il mio secondo libro dopo ben 9 anni dalla pubblicazione del primo.
Il mio primo libro è stato Le metafore del computer (Meltemi, Roma, 2002) e risentiva moltissimo della mia impostazione di sociologo della scienza e della tecnologia e – soprattutto – parlava di computer e non di internet.
Lo scopo di quel libro era rispondere ad una domanda precisa: perché il computer prima era uno strumento scientifico destinato ad una classe specifica di professionisti (scienziati e militari) e poi è diventato un mezzo di comunicazione?
Dopo 9 anni di studi, ricerche, paper scientifici, passioni, iscrizioni a servizi web di ogni tipo, due blog, un numero enorme di convegni, centinaia di ore formazione professionale, assidua frequentazione della blogosfera italiana (romana soprattutto), Barcamp, Ignite, Venice sessions, Girl Geek Dinners, seminari, interventi a Master, consulenze alle aziende, il momento è arrivato.
E’ arrivato il momento di fare il punto sull’ecosistema digitale che si è creato intorno ai social media e riflettere sul loro impatto sociale (relazionale, culturale, di mercato).
Come ho modo di dire nella prefazione, la mia è una posizione laica: né apocalittico, nè integrato.
Anche perché sono uno scienziato sociale (una persona che con studio e ricerca prova a comprendere la società) non un politico (una persona che sostiene in modo più o meno appariscente un insieme di valori e immagini della società che chiama ideologia).
E allora la domanda: perché comprare un saggio sull’universo dei social media?
1. Perché il nostro mondo è cambiato e il libro aiuta a capire come.
Si può essere scettici o apocalittici quanto ci pare, ma nella nostra vita di tutti i giorni internet è diventato una componente insostituibile.
Prima telefonavamo, ora messaggiamo su Facebook. Prima le notizie ce le raccontava il giornale o la tv, adesso ci arrivano da Twitter. Prima leggevamo, adesso condividiamo, postiamo, tagghiamo, uploadiamo, embeddiamo, facciamo check-in.
I social media hanno cambiato sia il modo in cui consumiamo contenuti, che come instauriamo relazioni: è difficile dire se sia un cambiamento in meglio o peggio.
Prenderne atto è importante.
Non “in sè” ma “per noi”.
2. Perchè i social media NON sono new media.
Il libro si chiama Sociologia dei media digitali perchè è un approccio sociologico a Internet e alla galassia di blog, wiki, social network, microblog, videosharing e chi più ne ha più ne metta. Che non sono new media. Ma media e basta.
Anzi media digitali e basta.
Sono stufo – da studioso e utente – della retorica del nuovo legata a internet. Per carità smettetela.
Come tutti i luoghi abitati dalle persone, in internet c’è democrazia e controllo, rispetto e violenza, passione e apatia, uomini e donne, cani e gatti, yin e yang, eccetera eccetera.
3. Perché non ci possiamo permettere di essere snob sui questa forma del web.
Ti piaceva tanto la scrittura con la macchina da scrivere? Bene!
Adori il profumo della carta di un libro e la consistenza materica delle pagine del giornale? Ottimo.
Ti faccio però notare che la seconda nazione al mondo per popolazione si chiama Facebook, il più importante negozio di libri al mondo è Amazon, iTunes non è un software Apple ma il primo negozio di musica al mondo eccetera.
Puoi anche non essere d’accordo o non condividere.
Ma non puoi ignorarlo.
4. Perché non ci possiamo permettere di essere panglossiani sul sistema dei media digitali.
Se credi che la rivoluzione della primavera araba sia stata fatta grazie a Twitter e Facebook, sei un ingenuo. Se credi che in fondo cedere piccoli aspetti della propria privacy cliccando sui “Like” di Facebook non abbia conseguenze su di te, sei un ottimista. Se credi che la rete sia solo e unicamente democrazia e comunicazione orizzontale non ti hanno mai raccontato della Grande Muraglia Digitale Cinese.
Pangloss è il filosofo precettore del Candido di Voltaire, che – parodiando Leibniz – riteneva che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili.
I social media non sono il migliore dei mondi possibili.
Nessuno nega che abbiano introdotto delle opportunità relazionali e comunicative in più.
Quello che bisognerebbe aver chiaro è queste tecnologie che hanno aperto la porta ad un vaso di Pandora a cui la società attuale non è completamente pronta e che tocca ad ognuno di noi che vive il web partecipativo lavorare perché tali tecnologie vadano nell’ottica di una società aperta.
Prendere atto della controparte sociale del web partecipativo è un gesto di responsabilità e consapevolezza.
Non si può guidare la macchina senza sapere che inquina, è pericolosa, va a petrolio per cui si fanno le guerre, le petroliere girano i mari e quando affondano sono disastri.
Anche se ci ha dato la possibilità di muoverci liberamente, di superare grandi distanze (ad eccezione della Salerno-Reggio Calabria), di vivere in un posto, lavorare in un’altro e divertirci in un’altro ancora, fare l’amore quando sei adolescente.
L’importante è avere il quadro completo.
5. Perché il libro è un work in progress.
Ovviamente non pretendo di aver messo la parola fine all’argomento.
Pertanto ho avuto la brillante idea 🙂 di creare diversi spazi web per instaurare un dialogo con i miei lettori che volessero farmi delle critiche, delle osservazioni, consigli e tutto quanto possa migliorare un lavoro fatto da una persona sola, con i suoi limiti e le sue manìe.
Perciò chi volesse andare oltre il testo, può far riferimento ad uno spazio Tumblr, ad un account Twitter e – ça va sans dire – una pagina Facebook.
Oltre che il mio primo amore, ovvero il blog che state leggendo.
Se vi ho convinto a comprarlo o regalarlo, è disponibile sia in versione cartacea che in versione ebook con DRM Adobe (qui in versione Kindle)
Se volete saperne di più potete vedere la video presentazione di sopra.
Se volete dialogare con me, sono a vostra disposizione.
… io l ho preso a prestito il biblioteca…
mi interesso di questi argomenti da tempo, da prima che uscisse Mondi virtuali di Wolley.Sono affascinanti per gli scenari che arono ma, anche, per l’iimaginario che implementano. Allora leggevo un pò di tutto, sulla scia delle prime ricerche Usa sull’antropologia del postumano e dell’artificiale. La Turkle l’ho incontrata per quello, come Haraway e la cultura e la letteratura cyber (quanti film, anche, addorittura deglianni ’20 …). Poichè insegnavo in una scuola media superiore grafica e fotografia, ho fatto del mio meglio per introdurre almeno alcune attenzioni nei programmi e nella didattica, che invece si ferma appunto ad un uso “strumentale” degli strumenti, senza guardar molto ne ai contesti ne alle relazioni che mutano i modi di essere. Quantomeno constatandoli, appunto. Il primo interrogativo me l’ero posto esattamente come nel suo primo libro, più o meno. M’ero chiesto: indubbiamente di questo mondo noi vediamo gli apparati visibili, ma non sappiamo pressoche nulla di ciò che avviene nelle interazioni o nei mondi retrostanti che vengon messi in comunicazione. E’ singolare, anche sintomo di “incultura” nel momento nel quale il computer sta diventando (se ne intravedevano già le avvisaglie, agli albori del web, con le comunità USA) un terminale anche o prevalentemente di comunicazione! Le relazioni che si instaurano si fan importanti, anche se restan nascoste dietro le interfacce, ma occuparsi di questa cultura pe rla scuola pare impossibile? Persino per le materie che FANNO COMUNICAZIONE?. Io credo che questi temi, declinati oggi ancor più sul virtuale/reale (così antico, in fondo) e sui socialnetwork ecc. abbiano radici molto antiche, aldilà del luccicore dell’hardware. Ora, da pensionato, avrò tempo per riodinare idee, appunti, riflessioni che a partire dalla analisi di cosa sia una interfaccia si stan nsnodando tra temi sociologici, identitari e filosofici. Complimenti per le sue analisi, intanto. 🙂
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